Di Li Qiang da AsiaNews del 29/06/2021
Bisogna “credere, amare e contribuire per sempre al Partito comunista cinese”. È l’invito (ordine) rivolto oggi da Xi Jinping ai cinesi durante la premiazione di 29 membri del Pcc con la “medaglia del Primo Luglio”. Dopodomani la Cina si ferma per celebrare i 100 anni dalla fondazione del Partito; il presidente cinese ostenta fiducia, potendo vantare per il proprio Paese una stabile ripresa economica dalla crisi del coronavirus.
Le celebrazioni arrivano però in un momento di crescente pressione esterna, e non solo dagli Usa, con i quali Pechino è impegnata in un duro confronto politico, economico e tecnologico.
Parlando ieri all’Hudson Institute di Washington, il vice ministro nipponico della Difesa Yasuhide Nakayama ha dichiarato che è necessario “aprire gli occhi” davanti alla pressione cinese nei confronti di Taiwan e difendere la democrazia taiwanese. Negli ultimi tempi Tokyo ha accresciuto il suo sostegno a Taipei, superando i timori per una possibile rappresaglia della Cina.
La riunificazione con Taiwan è l’unico esplicito obiettivo contenuto nel piano di “rinnovamento della grande nazione cinese” promosso da Xi. Pechino considera l’isola una provincia “ribelle”: se necessario, non esclude di riconquistarla con la forza.
Sul fronte himalayano, al confine con l’India, la situazione non è meno tesa. Il ministero cinese degli Esteri ha chiesto ieri a quello indiano di adottare misure per allentare la tensione lungo la frontiera. Secondo Bloomberg, Delhi ha inviato di recente 50mila soldati in più a presidiare il confine provvisorio (Line of Actual Control), portando il totale della guarnigione frontaliera a 200mila unità.
I due giganti asiatici condividono un confine di 3.488 km nell’impervia regione dell’Himalaya, per il quale hanno combattuto un breve ma sanguinoso conflitto nel 1962. Delhi rivendica ampi settori dell’Aksai Chin (che i cinesi hanno ottenuto dal Pakistan); Pechino avanza pretese sullo Stato indiano dell’Arunachal Pradesh. Il 15 giugno 2020 truppe indiane e cinesi si sono affrontate nella valle di Galwan, tra il Ladakh e l’Aksai Chin cinese: 20 soldati indiani sono morti, insieme a un numero imprecisato di militari cinesi.
Per Pechino non ci sono buone notizie nemmeno sul suo fianco meridionale. Il 25 giugno Indonesia e Stati Uniti hanno inaugurato i lavori per la costruzione di un centro di addestramento per la Guardia costiera di Jakarta. Esso sorgerà sull’isola di Batam, capoluogo della provincia indonesiana delle isole Riau, a poche decine di km dallo strategico Stretto di Malacca.
La struttura sarà completata entro un anno e non ospiterà forze Usa. Secondo il governo indonesiano non ci sono ragioni specifiche dietro alla scelta di Batam come sede del nuovo centro.
Diversi analisti la pensano diversamente. L’Indonesia ha lanciato da tempo un programma di rafforzamento navale, in parte rivolto a fronteggiare l’attivismo della Cina nelle acque che bagnano le isole Natuna, incluse nella provincia delle Riau. I cinesi non avanzano pretese territoriali su questo arcipelago indonesiano di 272 isole, ma rivendicano il diritto di sfruttare le sue pescose acque, fatto che incontra la ferma opposizione di Jakarta. Le Natuna si trovano sul margine sudoccidentale del Mar Cinese meridionale, che Pechino rivendica per quasi il 90%. Indonesia, Vietnam, Filippine, Malaysia e Taiwan, con il sostegno degli Stati Uniti, si oppongono alle pretese territoriali della Cina.
L’unico settore in apparenza tranquillo per i cinesi è quello settentrionale. Cina e Russia hanno esteso ieri fino al 2026 un trattato ventennale di amicizia e cooperazione firmato nel 2001. I due Paesi fanno fronte comune davanti alla sfida geopolitica lanciata dall’amministrazione Biden. Alla lunga problemi come la strisciante “colonizzazione” cinese della Siberia orientale rischiano però di creare tensioni tra Pechino e Mosca.
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