Il turismo di massa e la contemplazione
di Stefano Nitoglia
C’era una volta la montagna. Quella fatta di veri suoi amanti, appassionati della natura, dei boschi, dei ruscelli e delle cascate, delle fatiche della salita, della contemplazione delle bellezze del Creato, dalle quali risalire alle infinite perfezioni di Dio. La “via pulchritudinis”, la via del bello per arrivare a Dio. Su questo tema, di fondamentale importanza è il documento finale della sesta Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura La “Via pulchritudinis”. Cammino privilegiato di evangelizzazione e di dialogo” del 28-3-2006, come pure il testo A inocência primeva e a contemplação sacral do universo no pensamento de Plinio Corrêa de Oliveira sul pensatore e uomo di azione cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), pubblicato dall’Instituto Plinio Corrêa de Oliveira, a San Paolo del Brasile, nel 2008 (entrambi in Massimo Introvigne, Via pulchritudinis e spiritualità della Contro-Rivoluzione. Una nuova raccolta di testi di Plinio Corrêa de Oliveira, Cristianità n. 351).
Non molti, fino a qualche decennio fa, si aggiravano per le valli montane, anche se qui parlo, per esperienza, delle sole valli dolomitiche, più precisamente di quelle permeate dalla cultura e dalla lingua ladina. Erano pochi, quasi un’élite. Questo è durato, purtroppo, fino alla fine degli anni ’80 del secolo scorso. Una serie di circostanze, la pubblicità sulle riviste specializzate, i campionati mondiali di sci e il business conseguente, l’esplosione dei social media, hanno fatto poi scoppiare il turismo dell’estate. Nei mesi estivi, specialmente in agosto, le strade delle valli ladine sembrano quelle di Roma o di Milano, con migliaia di auto che le intasano, parcheggi dei passi montani strapieni, mentre escursionisti improbabili, senza strumenti adatti, ingombrano i sentieri montani, da quelli più facili a quelli estremi. Spesso gli elicotteri del Soccorso Alpino sono dovuti intervenire, con dispendio di mezzi e di danaro, per soccorrere escursionisti che si erano avventurati su ferrate e similia senza corde e con gli infradito.
Questo problema ha assunto proporzioni taliche i mass media se ne sono dovuti occupare. Duilio Boninsegna, gestore del rifugio Pradidali si lamenta: «“I tempi sono cambiati sotto tanti punti di vista e non soltanto a livello ambientale. Anche il tipo di escursionisti che arrivano da noi sono molto diversi rispetto a un tempo: negli anni 90 venivano soprattutto esperti di montagna” (…) Martin Riz, guida alpina,che gestisce il rifugio Antermoia a 2497 slm, nel gruppo del Catinaccio dice: “Sono qui da poco tempo, pochi anni che sono però bastati per notare dei grandi cambiamenti relativi soprattutto alla mancanza di rispetto di quelle regole che un tempo erano le regole fondamentali della montagna. Escursionisti che bivaccano nonostante i divieti o che se ne vanno senza pagare, e ancora il problema del dell’abbandono dei rifiuti”» (Il Dolomiti, 16 agosto 2024).
Questo ha infastidito i residenti, dato che l’impatto del turismo aggressivo si riflette sulla loro qualità della vita e già si registrano le prime contestazioni. Scritte di protesta sono apparsesulla cartellonistica stradalee sulle rocce lungo i sentieri (cfr. Alto Adige: Cresce la tensione tra i residenti e turismo di massa, in La Voce di Bolzano.it, 15 agosto 2024). C’è chi propone una corsia preferenziale per i residenti, mentre gli operatori turistici difendono il turismo di massa, che implementa i loro portafogli. Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, in una intervista rilasciata al Mattino di Padova (cit. in Il Dolomiti, 21 agosto 2024) propone di usare «le nuove tecnologie che abbiamo a disposizione, come le app di prenotazione. Credo sia il modo più efficace per regolare queste situazioni che spesso, se non controllate, sfociano nel pericolo mettendo a rischio la vita dei nostri soccorritori».
Ben vengano queste misure, anche se sono palliative. Il problema infatti è anche, se non soprattutto, culturale. Come ha ben scritto Ermanno Pavesi a proposito di tutt’altra questione (ma si può applicare anche a questa), un cambiamento radicale è avvenuto con il filosofo francese Jean Jacques Rousseau, «che ha idealizzato lo stato di natura delle popolazioni primitive con il mito del buon selvaggio» (Ermanno Pavesi, Violenze giovanili ed educazione anti-autoritaria, 23 agosto 2024). Citando altresì lo psicologo americano Carl Rogers (1902-1987), il quale, criticando l’“uomo civilizzato”, che «non si affida all’istinto, ma con la ragione valuta gli aspetti morali e le proprie azioni», propone di «risolvere il contrasto tra natura e cultura, tra istinto e coscienza morale a favore di natura e istinto, attribuendo alla concezione dell’uomo come persona responsabile un ruolo solo negativo».
Mercoledì, 28 agosto 2024