Bastioni e torri, campanili e cupole all’esterno; glorie terrene e celesti all’interno su volte e soffitti. Poteva realizzarli solo una società che guardava “in alto”.
di Stefano Chiappalone
C’era una volta… la volta. E non è (solo) un gioco di parole, dal momento che nei tempi andati anche i soffitti erano destinati a catturare l’occhio: li si valorizzava con cassettoni, li si decorava o addirittura li si “sfondava” illusionisticamente, con l’ausilio di pittura e scultura. La fatica anche fisica del pittore elevato in condizioni non proprio ottimali era commisurata alla meraviglia dello spettatore che, sollevando lo sguardo, finisce per sentirsi sollevare a sua… volta, come ancora oggi accade a chiunque visiti la Cappella Sistina. Di fronte ci si trova il celeberrimo Giudizio, ma in alto si ammirano quelle Storie della Genesi che costarono la salute al povero Michelangelo Buonarroti (1475-1564) sdraiato sui ponteggi. Altrettanto celebre la Camera degli sposi o Camera picta di Andrea Mantegna (1431-1506) nel Palazzo ducale di Mantova, al centro della quale, da un oculo si affacciano delle donne, dei putti e un pavone abilmente scorciati da sotto in su. Volte e soffitti di palazzi nobiliari e dimore storiche, se non sono affrescati con scene vere e proprie, proliferano almeno di simboli araldici e motivi floreali. La Gloria di sant’Ignazio dipinta da Andrea Pozzo (1642-1709) nell’omonima chiesa romana è certamente un trionfo del santo di Loyola, ma è al contempo un trionfo della prospettiva e dell’illusionismo barocco, che letteralmente sfonda l’edificio facendo sì che lo spettatore quasi sperimenti il paolino “rapimento al terzo cielo” (2 Cor 12,2).
Anche nelle chiese più umili e austere, magari con navate spoglie e un semplice tetto a capriate, è ornata almeno la volta dell’abside, quella cioè che – tramite la liturgia – affaccia direttamente sul Cielo.
Doveva essere, del resto, un gesto piuttosto naturale quello di guardare in su quando in assenza di Google Maps ci si orientava seguendo stelle e campanili; quando si costruiva in altezza non costretti dalle stringenti necessità delle metropoli, bensì mossi dalle spinte contrastanti del desiderio del cielo e al contempo di una certa umana hybris, a metà tra la scala di Giacobbe e la torre di Babele. Beninteso, vi era persino una gerarchia nelle altezze che lasciava il punto più alto agli edifici del “cielo” e portava a limitare la privata ambizione verticale di certi casati.
Bastioni e torri, campanili e cupole all’esterno; glorie terrene e celesti all’interno. Per realizzare questo prodigio occorrevano (almeno) tre cose: logistica, certamente, ma anche maestria, e soprattutto gente che non vivesse “a testa bassa” – ragion per cui c’era una volta la volta e oggi non c’è più.
Sabato, 17 giugno 2023