La Trasfigurazione avvenne, dice il Papa, per rassicurare i discepoli, spaventati dall’annuncio della Passione, ma parla anche a noi oggi, atterriti da molti problemi
di Michele Brambilla
Nel rito romano il Vangelo della II domenica di Quaresima commemora immancabilmente la Trasfigurazione del Signore, spiega Papa Francesco all’Angelus del 28 febbraio: «poco prima, Gesù aveva annunciato che, a Gerusalemme, avrebbe sofferto molto, sarebbe stato rifiutato e messo a morte. Possiamo immaginare cosa dev’essere successo allora nel cuore dei suoi amici, di quegli amici intimi, i suoi discepoli: l’immagine di un Messia forte e trionfante viene messa in crisi, i loro sogni vengono infranti, e li assale l’angoscia al pensiero che il Maestro in cui avevano creduto sarebbe stato ucciso come il peggiore dei malfattori. E proprio in quel momento, con quell’angoscia dell’anima, Gesù chiama Pietro, Giacomo e Giovanni e li porta con sé sulla montagna», spettatori privilegiati di una visio beatifica che nell’Esodo era stata concessa solamente a Mosè, il quale appare, assieme ad Elia, accanto a Gesù.
«Come esclamò l’apostolo Pietro (cfr Mc 9,5), è bello» anche per noi «sostare con il Signore sul monte, vivere questo “anticipo” di luce nel cuore della Quaresima. È un invito a ricordarci, specialmente quando attraversiamo una prova difficile – e tanti di voi sanno che cos’è attraversare una prova difficile – che il Signore è Risorto e non permette al buio di avere l’ultima parola». Il Papa parla delle traversie personali dei singoli fedeli, ma ci sono anche i mali sociali. Non a caso lancia un appello per le scolaresche rapite in Nigeria: «unisco la mia voce a quella dei vescovi della Nigeria per condannare il vile rapimento di 317 ragazze, portate via dalla loro scuola, a Jangebe, nel nord-ovest del Paese. Prego per queste ragazze, perché possano presto tornare a casa. Sono vicino alle loro famiglie e a loro stesse. Preghiamo la Madonna perché le custodisca».
La Trasfigurazione ci ricorda che «abbiamo bisogno, allora, di un altro sguardo, di una luce che illumini in profondità il mistero della vita e ci aiuti ad andare oltre i nostri schemi e oltre i criteri di questo mondo. Anche noi siamo chiamati a salire sul monte, a contemplare la bellezza del Risorto che accende barlumi di luce in ogni frammento della nostra vita e ci aiuta a interpretare la storia a partire dalla vittoria pasquale».
L’esclamazione di san Pietro richiede un ulteriore monito: «stiamo attenti, però: quel sentire di Pietro che “è bello per noi stare qui” non deve diventare una pigrizia spirituale. Non possiamo restare sul monte e godere da soli la beatitudine di questo incontro. Gesù stesso ci riporta a valle, tra i nostri fratelli e nella vita quotidiana». La missione non ammette deroghe: «salire sul monte non è dimenticare la realtà; pregare non è mai evadere dalle fatiche della vita; la luce della fede non serve per una bella emozione spirituale». L’insistenza nel condannare il “chiacchiericcio” intra-ecclesiale serve proprio a rammentare che è molto meglio annunciare il Vangelo apertis verbis per le strade del mondo.
Lunedì, primo marzo 2021