Visse probabilmente in Provenza, a cavallo tra la fine del VII e l’inizio dell’VIII secolo, morto forse attorno al 720 o 725. Le notizie sulla vita di questo santo sono alquanto incerte perché ci derivano, principalmente, da una biografia scritta nel X secolo e indubbiamente intessuta di notizie leggendarie, spesso tributarie dei luoghi tipici del genere agiografico. Tuttavia, il suo culto era già molto diffuso nel IX secolo, irradiatosi a partire dalla regione di Nimes, da dove si diffuse soprattutto in Francia, in Belgio e in Germania. Le fonti relative ai secoli del primo Medioevo sono, in tutti i campi, molto scarse e se si applicasse in ciascuno di essi lo stesso metodo ipercritico che si vorrebbe impiegare per i santi ben poco rimarrebbe di conoscibile per lo storico; ma, purtroppo, in alcuni settori della stessa cultura cattolica si è diffusa un’ansia di autodemolizione che magari appare metodologicamente errata ai più avvertiti e sereni tra gli storici laici. È questo uno dei tanti modi di manifestare il rifiuto delle proprie radici, della propria storia; di mostrare che si è cristiani diversi da quelli di un tempo. Pure, a questi santi dell’alto Medioevo noi dobbiamo la nostra reverente gratitudine. Ed in particolare a quanti, come sant’Egidio, sacrificarono probabilmente l’originale vocazione eremitica ad un impegno in quel monachesimo cenobitico che tanto contribuì alla nascita della Cristianità e dell’Europa. Molte volte, e per secoli, vennero rappresentati episodi della sua leggenda. In particolare – e diversi lettori avranno in mente uno splendido trittico della fine del XV secolo conservato alla National Gallery – quello dello straordinario rapporto tra il santo e la cerva inviatagli da Dio per nutrirlo con il suo latte, da lui poi salvata dalle frecce dei cacciatori: un esempio del rapporto che può intercorrere (senza ecologismi di maniera) tra il cristiano e la natura.
Marco Tangheroni,
Cammei di santità. Tra memoria e attesa,
Pacini, Pisa 2005, p. 27