Le imminenti elezioni del Parlamento europeo pongono domande su chi davvero conta a Bruxelles e se votare abbia qualche senso, se è vero come è vero che chi “dà le carte”, ossia la Commissione, non è espressione diretta del voto degli elettori
di Aurelio Carloni
Le imminenti elezioni del Parlamento europeo di giugno pongono la domanda non formale su chi conti davvero a Bruxelles nella definizione delle decisioni dell’Unione Europea.
Chi opera a livello apicale nelle centinaia di associazioni che gravitano attorno alla capitale belga, nell’area della rappresentanza di interessi, più note come realtà di lobbying, avrebbe pochi dubbi nel rispondere che “le carte le dà la Commissione UE” e che mediamente le altre istituzioni – in particolare il Parlamento Europeo, il Consiglio Europeo e il Consiglio dell’Unione Europea – hanno in molte materie un ruolo da comprimari. La star è “lei”, e per gli altri attori sul proscenio c’è poco spazio e visibilità ridotta.
È sempre a lei e ai suoi funzionari e dirigenti che bisogna rivolgersi per comunicare le proprie posizioni e orientamenti su temi talvolta di nicchia, talaltra di interesse generale, con la speranza che le proposte, in fase di definizione nelle direzioni competenti della Commissione, ne tengano conto.
I suoi funzionari (con retribuzioni esentasse) hanno, fatte salve tutte le eccezioni del caso, un collante che li rende culturalmente omogenei e particolarmente ligi al conseguimento degli obiettivi della tecnocrazia internazionale, trasversali e rispondenti all’ideologia green, che vuole una ecologia non integrale, ossia priva dell’opera dell’uomo, e a quella della cultura gender, che vuole l’eliminazione per via legislativa, e sempre più spesso per via giudiziaria, della famiglia composta da padre, madre e figli.
In genere si muovono con la borraccia, cosa di per sé buona ma assurta a icona della società green, che vuole salvare gli animali (altra cosa di per sé buona) ma fa di tutto per eliminare i vecchi “improduttivi” e i bambini indesiderati. Frequentano inoltre, fuori dall’ufficio, lo stesso ambiente globalista caratterizzato da aperitivi a tinte arcobaleno.
Insomma, sono la più evidente manifestazione, ancora una volta con tutte le eccezioni del caso, di una mentalità nichilista e lontana dalla realtà “reale”, fatta di quei dettagli, di quelle differenze locali e tradizioni particolari che arricchiscono la vita delle persone, dei popoli e delle nazioni, che cercano di non rottamare la propria identità e resistono alla deriva globalista e tecnocratica. Resistono e insorgono, come hanno fatto e continuano a fare in queste settimane, a favore della concretezza della terra e del loro lavoro fatto di sudore, di innovazione e di tradizione.
Quello di Bruxelles è un mondo grigio, che si muove silenziosamente per promuovere una società sempre più lontana dalle radici cristiane dell’Europa, costruite sul lascito della filosofia greca, del diritto romano e della fede biblica di Israele. Un mondo, quello tecnocratico, silenzioso ed efficace: una volta che la Commissione lancia una proposta è difficile, anche se non del tutto impossibile, per le altre istituzioni dell’UE modificarla sostanzialmente o rigettarla, infatti.
Dopo aver risposto per quanto possibile alla domanda su chi decida in Europa, si potrebbe chiudere tentando di rispondere a un’altra, che è conseguente alla prima: se così stanno le cose, perché andare a votare alle elezioni europee? Ha senso?
Ha senso di certo, perché anche se l’esito non può cambiare radicalmente il quadro può certamente modificarlo, per quanto possibile. Nel caso, infatti, di un’affermazione delle forze conservatrici, ci si potrebbe attendere da parte del Parlamento Europeo la nomina di un presidente della Commissione più attento alle peculiarità nazionali e all’identità europea. Stessa cosa si potrebbe sperare per i singoli commissari. Insomma, si potrebbe riavviare un processo virtuoso, che nel medio-lungo periodo potrebbe ridare speranza a quel tassista di Bruxelles che, accompagnando chi scrive dall’aeroporto al centro della sua città, ne lamentava con composta tristezza la trasformazione, con interi quartieri inghiottiti dalle fondamenta delle sedi dell’UE, i residenti storici costretti a trasferirsi nelle nuove aree residenziali senza anima, le chiese vuote e i locali alla moda pieni.
A proposito, se andate a Bruxelles, che abbiate fede o no, non dimenticate di entrare in una delle rare chiese aperte e ancora non adibite ad altri usi. Nel silenzio quasi mai interrotto da altri fedeli vi troverete il mistero incarnato della presenza di Cristo. Lo stesso Dio di cui a Bruxelles l’UE vorrebbe cancellare il Natale.
Martedì, 19 marzo 2024