Chi è stato Aleksej Naval’nyj e che cosa rappresenta oggi dopo la sua morte, avvenuta da prigioniero politico del regime di Putin? Ha ragione don Stefano Caprio quando dice che in Russia si è passati da un sistema autoritario a uno totalitario, nel senso che ogni forma di opposizione è stata estirpata con la violenza essendo i suoi esponenti assassinati o in esilio? Per capire il suo complesso itinerario politico, riproponiamo questo articolo di uno studioso della Russia, Luigi Geninazzi, del 2021, ma ancora attuale.
di Luigi Geninazzi da Vita e Pensiero on line del 24 febbraio 2024
È un dramma dalle sequenze mozzafiato che ha suscitato scalpore in tutto il mondo la vicenda di Aleksej Naval’nyj, avvelenato in Russia con una micidiale sostanza neuro-tossica, strappato in extremis alla morte e curato in Germania, tornato in patria a Mosca dopo aver accusato pubblicamente il presidente Vladimir Putin di essere il mandante del suo tentato assassinio e subito arrestato, processato e condannato a due anni e mezzo di carcere duro. Il dramma prosegue tra allarmi e timori per lo stato di salute del detenuto ribelle, ma l’ultimo atto è ancora tutto da scrivere.
Un fatto comunque risulta evidente: in Russia si è affermato un nuovo personaggio, simbolico e controverso, con lo status di avversario numero uno di Putin. Il “blogger anti-corruzione” è diventato il principale oppositore del “presidente sempiterno”, anzi, secondo alcuni osservatori, il leader di una nuova opposizione politica.
Dobbiamo partire da qui, dal significato e dal ruolo che ha avuto finora l’opposizione nella Federazione russa, per capire chi sia e cosa rappresenti Aleksej Naval’nyj. La Russia post-sovietica ha avuto un’opposizione forte, articolata e organizzata in diversi partiti politici negli anni Novanta, giungendo perfino ad avere la maggioranza nella Duma, il parlamento della Federazione, e a tenere più volte sotto scacco il presidente Eltsin. Ma, con l’avvento al Cremlino di Putin nel 2000, le cose cambiano velocemente: il Kpfr, il partito comunista di Zjuganov, e l’Ldpr, la formazione ultra-nazionalista di Žirinovskij, si trasformano nella cosiddetta “opposizione di sistema”, sostenendo le scelte più importanti del partito al governo Russia Unita, mentre i partiti d’orientamento democratico come Jabloko, la coalizione liberale dell’economista Javlinskij, e Parnas, guidato dall’ex primo ministro Kas’janov, diventano sempre più marginali fino a essere esclusi dalla Duma.
Sono gli anni in cui viene siglato un patto non scritto tra potere e società, in base al quale i cittadini hanno la libertà di arricchirsi, viaggiare e adottare lo stile di vita occidentale, ma rinunciano a esercitare i loro diritti politici, delegati a “zar Vladimir”. Il patto s’incrina nell’inverno 2011-2012 con le massicce manifestazioni di protesta contro i brogli avvenuti nelle elezioni parlamentari. È la “bolotnaja revolucija” (dal nome della piazza di Mosca dove hanno preso avvio le dimostrazioni) che vede protagonista la classe media della società russa, cresciuta approfittando delle nuove opportunità economiche, ma divenuta insofferente nei riguardi di un sistema politico arbitrario e autocratico. È una fiammata di breve durata, anche a causa del giro di vite repressivo da parte delle autorità.
Negli anni successivi spariscono i principali esponenti dell’opposizione: Michail Chodorkhovskij, l’oligarca più ricco di Russia arrestato spettacolarmente nel 2003 e liberato dopo dieci anni di prigionia, è costretto a scegliere l’esilio; Garri Kasparov, il campione mondiale di scacchi critico di Putin, si rifugia in Croazia; Boris Nemcov, l’ex delfino di Eltsin che denuncia “la nuova dittatura”, viene assassinato da killer ceceni sul ponte della Moscova sotto le mura del Cremlino.
La protesta si riaccende improvvisamente nella primavera del 2017, dopo un triennio segnato dall’esaltazione nazionalista e dal consenso plebiscitario alla politica di Putin dovuti all’annessione della Crimea e alla guerra dei separatisti filo-russi in Ucraina orientale. Un’ondata di manifestazioni, clamorosa e del tutto imprevista, attraversa l’intera Federazione russa con decine di migliaia di persone che scendono in piazza per gridare la loro rabbia contro la corruzione di chi li governa. In prima fila ci sono giovani e adolescenti, la generazione dei millennials che non ha conosciuto altra Russia se non quella di Vladimir Putin.
Ma è un altro il nome che i ragazzi iniziano a stimare e acclamare, quello di Aleksej Naval’nyj. Non è uno sconosciuto, già nel 2011 era una delle figure principali del movimento di protesta. Nel 2017 ne diventa il motore, dopo aver diffuso una video-inchiesta sul patrimonio nascosto del premier Dmitrij Medvedev, un impero immobiliare di oltre un miliardo di euro. Da giovane avvocato, Naval’nyj già dieci anni prima aveva cominciato a ficcare il naso nei conti delle grandi compagnie statali dopo averne acquistato alcune azioni, così da poter intervenire come socio di minoranza a chiedere ragione di sperperi e falsi in bilancio. Apre un blog che poi diventa un sito, Rospil, e crea la Fondazione Anti-corruzione che col tempo si espande fino ad avere 37 uffici in varie città della Russia e 225 impiegati, in gran parte giovani giuristi a caccia di irregolarità e trucchi illegali.
Su YouTube il canale Naval’nyjLive documenta e sbeffeggia le ruberie di politici e funzionari pubblici. L’ultima video-inchiesta prende di mira quel che viene definito «il palazzo segreto di Putin», un complesso enorme e sfarzoso sulle rive del Mar Nero che si presenta come «uno Stato separato dentro la Russia».
Diffusa con maliziosa coincidenza all’indomani dell’arresto di Naval’nyj al suo rientro dalla Germania, ha superato in pochi giorni cento milioni di visualizzazioni. Con le sue denunce, rigorose e puntali, accompagnate da un’ironia corrosiva, e con il suo linguaggio sferzante e insolente che entusiasma i ragazzi, il gigante Aleksej (un metro e 90 di statura) si è ormai affermato come il paladino della lotta alla corruzione e il fustigatore del sistema putiniano.
Ma può bastare la lotta alla corruzione per costruire un’alternativa politica? A che cosa mira, che programma intende realizzare e a quale ideologia s’ispira Naval’nyj? La sua è una personalità complessa e per molti aspetti contraddittoria. Nato nel 1976, figlio di un ufficiale dell’Armata Rossa, cresciuto nelle città militari intorno a Mosca chiuse agli stranieri, non nutre alcuna nostalgia per il mondo sovietico, secondo il suo biografo Konstantin Voronkov. Ma non ama neppure la Russia post-sovietica, disprezza il cinismo e la voracità degli oligarchi che s’arricchiscono sulle macerie del socialismo. «L’80% della mia energia deriva dall’odio», ammetterà anni più tardi Naval’nyj. Parole che contrastano con quelle che pronuncia al processo del 20 febbraio 2021, prima della sua condanna. «Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati», dice citando il Vangelo che, spiega, dà un senso ai suoi sacrifici. «Credo che la cosa più importante per lui sia la fede», ha raccontato lo scrittore Boris Akunin.
Credente ortodosso, l’oppositore di Putin è un fedele praticante che segue scrupolosamente il rigoroso digiuno del periodo quaresimale. Ha contatti con il Patriarcato, ma non intende mischiare religione e politica.
A Naval’nyj tutti riconoscono grande determinazione e coraggio. Ma c’è chi, anche nel campo dell’opposizione, lo critica per il suo carattere smisuratamente ambizioso, troppo concentrato su di sé. «Sa scatenare emozioni e sentimenti ma non ha una visione, non ha un programma. La politica è un’altra cosa», dice Nikolaj Rybakov, dirigente di Yabloko. «Nient’affatto, conosco bene Naval’nyj, un uomo ostinato e totalmente dedito alla sua missione politica. Certo, è ambizioso: vuole diventare presidente della Russia, perché ritiene che il cambio al vertice del potere sia un elemento fondamentale del gioco democratico che oggi invece è negato nel nostro Paese», è l’opinione di Sergej Parchomenko, noto commentatore della radio Eco di Mosca. «Naval’nyj vuole solo prendere il posto di Putin, non ha nessuna intenzione di cambiare il sistema», è il duro giudizio di un vecchio liberale come Grigorij Javlinskij, diffidente nei confronti del nazionalismo che resta il peccato d’origine del leader anti-corruzione.
Dopo aver frequentato gli ambienti dell’opposizione liberal-democratica nel 2007, Naval’nyj aderisce infatti ai movimenti dell’ultra-destra xenofoba, e insieme allo scrittore nazional-bolscevico Zakhar Prilepin fonda il movimento Narod (“popolo”). Partecipa alle “Marce russe” per chiedere la deportazione di massa degli immigrati clandestini e pubblica alcuni video dove definisce i ribelli ceceni “scarafaggi” e giustifica l’uso privato delle armi per combattere i criminali caucasici. Naval’nyj prenderà poi le distanze dai suoi trascorsi razzisti e xenofobi (per i quali Amnesty International gli ha ritirato la qualifica di “prigioniero di coscienza”), ma non dal nazionalismo in quanto tale.
In un dialogo con il polacco Adam Michnik, storico esponente di Solidarność, si è augurato che «il nazionalismo russo potesse evolvere verso il conservatorismo di tipo europeo, mentre invece con Putin è diventato un nazionalismo imperialista». Naval’nyj ha sempre rivendicato il suo diritto di rivolgersi anche a coloro che hanno idee nazionaliste e ha perfino partecipato a dibattiti con gli esponenti dei separatisti filo-russi del Donbass.
Di fatto intende pescare nello stesso bacino di consensi di Putin, così come non disdegna il sostegno dei comunisti. «Destra e sinistra – ha detto – sono distinzioni che non funzionano in Russia dove la sinistra si fa il segno di croce e la destra segue la retorica putiniana».
Populista ma non ultra-nazionalista, liberale ma non occidentalizzante, conservatore e al tempo stesso libertario, Naval’nyj sfugge a ogni etichetta. Con un ossimoro lo si potrebbe definire un utopista pragmatico che ha un unico chiaro obiettivo: distruggere il monopolio di potere incarnato da Putin. Lo scontro politico diretto lo esalta, come ha dimostrato quando nel 2013 si candidò a sindaco di Mosca ottenendo il 27% dei voti, un risultato sorprendente che mai nessun oppositore aveva raggiunto. Fu la prima e unica volta. Da allora la candidatura di Naval’nyj verrà respinta con motivazioni pretestuose in ogni tornata elettorale, sia locale che regionale, e ovviamente in quella presidenziale del 2018 cui avrebbe voluto partecipare per una sfida impossibile a Putin.
Da qui l’intuizione della necessità di una nuova strategia, basata sul “voto utile”: sostenere il candidato più favorito, qualunque sia il suo partito, per battere gli esponenti di Russia Unita, il partito di governo che Naval’nyj definisce, con un’espressione divenuta ormai un marchio di fabbrica, «il partito dei ladri e degli imbroglioni». Applicata nelle elezioni regionali e comunali del 2019 e del 2020, la strategia del “voto utile” è riuscita spesso a mettere in difficoltà i candidati del blocco di potere.
Nonostante tutto, Naval’nyj è rimasto sempre un fenomeno abbastanza isolato e poco conosciuto dalle masse, con un’influenza molto limitata sull’opinione pubblica e con una sostanziale incapacità di aggregare attorno a sé una reale forza politica di cambiamento.
Se in Russia il movimento di protesta si è rafforzato in questi ultimi anni lo si deve al progressivo deterioramento della situazione economica e alla continua caduta del livello di vita che alimentano uno scontento sempre più diffuso. Per questo, dopo anni di opposizione sul web e sulle piazze, Naval’nyj si stava rendendo conto della necessità di andare oltre l’azione di denuncia. Avrebbe potuto farlo in tanti modi, enunciando programmi o lanciando nuove parole d’ordine.
Lo ha fatto invece con un gesto: dopo essere scampato al letale Novičok, e benché fosse sicuro di dover affrontare l’arresto preannunciato dalle autorità giudiziarie (in base a una vecchia sentenza definita «arbitraria e irragionevole» dalla Corte europea dei diritti umani), Naval’nyj ha deciso di lasciare l’accogliente Germania e di rientrare in patria. Ha affrontato coscientemente un rischio altissimo, consegnandosi all’apparato repressivo che lo aveva avvelenato (spargendo il Novičok sugli indumenti intimi di Naval’nyj, come ha ammesso al telefono un agente della Fsb, i servizi segreti russi, incastrati e ridicolizzati dalla loro stessa vittima).
In questi ultimi dieci anni Naval’nyj ha trascorso poco meno di 500 giorni in prigione o in domicilio forzato. Ma forse nemmeno lui immaginava di finire nel carcere più duro e severo del sistema penitenziario russo, la colonia correzionale n. 2 di Pokrov, erede del gulag sovietico, dove tutto sembra organizzato per spezzare la resistenza psico-fisica del prigioniero.
Un gesto che lo ha messo in una nuova luce. Davanti a un uomo disposto a perdere comodità e sicurezze e a rischiare la vita, diventa difficile sostenere che lo faccia per un calcolo politico. In questo «molti in Russia hanno riconosciuto il segnale etico che tanto aspettavano», ha scritto Marta Carletti dell’Asta sulla rivista «L’altra Europa».
«Io non ho paura e invito anche voi tutti a non averne», ha dichiarato Naval’nyj durante il processo. Per lo slavista francese Yves Hamant, è un richiamo alla coscienza che lo accomuna al «vivere senza menzogna» di Solženicyn, «un atto di coraggio che suscita un interrogativo morale e che alla lunga avrà degli effetti».
Sono oltre centomila i russi che sono scesi in piazza a Mosca e in altre ottanta città della Federazione per manifestare la loro solidarietà al leader anti-corruzione, sfidando la repressione sempre più dura delle autorità che hanno arrestato moltissimi dimostranti e minacciano di mettere fuori legge il movimento anti-corruzione bollato come “organizzazione estremista”.
E sono tanti coloro che pur non condividendo il suo metodo e le sue idee politiche lo difendono, perché in lui vedono «uno che in un Paese non libero si comporta da uomo libero», per dirla con il famoso dissidente sovietico Andrej Amal’rik. Con il suo gesto coraggioso, Naval’nyj è uscito dalla bolla mediatica di “blogger dell’opposizione” mostrando la concretezza fisica e sofferta della sua ribellione. In questo modo ha aperto una nuova fase nel braccio di ferro con il potere.
A prima vista la sproporzione di forze è talmente grande da non esserci partita: da un lato un presidente potentissimo che si è garantito la possibilità di restare al Cremlino fino al 2036, dall’altro un rivoltoso in catene, umiliato, in condizioni critiche di salute, con lo spettro di nuove condanne, a rischio di sparizione politica e, nell’ipotesi più tragica, anche fisica. La memoria corre al precedente dell’avvocato e oppositore Sergei Magnitskij, morto in un carcere di Mosca nel 2009 dopo aver lamentato inutilmente la mancanza di cure. Ma c’è un altro scenario: Naval’nyj non solo sopravvive, ma continua a far parlare di sé e tornerà in libertà tra due anni e mezzo, giusto in tempo per mettersi di traverso a Putin nelle presidenziali del 2024, e poi magari nel 2030… E comunque il futuro aspirante al Cremlino ha già stilato il suo beffardo epitaffio su “zar Vladimir”: «Si crede un grande statista ma passerà alla storia come l’avvelenatore di mutande».
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Luigi Geninazzi
Luigi Geninazzi, giornalista e scrittore, è esperto di problemi internazional