di Michele Brambilla
Come annuncia Papa Francesco nell’udienza generale di mercoledì 29 gennaio, «iniziamo oggi una serie di catechesi sulle Beatitudini nel Vangelo di Matteo (5,1-11)», di cui sono il cuore dottrinale. Aprono infatti l’ampia sezione del “Discorso della Montagna”, che si dispiega per ben tre capitoli, dal V all’VIII.
Secondo il Pontefice, «le Beatitudini contengono la “carta d’identità” del cristiano ‒ questa è la nostra carta d’identità ‒, perché delineano il volto di Gesù stesso, il suo stile di vita». Cristo, nell’ottica di san Matteo, è il nuovo Mosè, che sale non a caso su di un monte per portare a compimento la Legge mosaica, compendiata nella suprema lex dell’amore misericordioso di Dio. Prosegue, infatti, Francesco: «Gesù inizia a insegnare una nuova legge: essere poveri, essere miti, essere misericordiosi… Questi “nuovi comandamenti” sono molto più che delle norme. Infatti, Gesù non impone niente, ma svela la via della felicità – la sua via – ripetendo otto volte la parola “beati”». Dal punto di vista sintattico, «ogni Beatitudine si compone di tre parti. Dapprima c’è sempre la parola “beati”; poi viene la situazione in cui si trovano i beati: la povertà di spirito, l’afflizione, la fame e la sete della giustizia, e via dicendo; infine c’è il motivo della beatitudine, introdotto dalla congiunzione “perché”: “Beati questi perché, beati coloro perché …”».
Il Santo Padre mette in guardia dall’errore di considerare la situazione di disagio una condizione sine qua non per diventare santi: «facciamo attenzione a questo fatto: il motivo della beatitudine non è la situazione attuale ma la nuova condizione che i beati ricevono in dono da Dio: “perché di essi è il regno dei cieli”, “perché saranno consolati”, “perché erediteranno la terra”, e così via». Molti santi canonizzati sono infatti nati ricchi e possedevano le redini del potere, come i santi re della Cristianità, ma hanno ugualmente messo al centro della loro vita la sequela di Cristo e hanno retto le sorti di intere nazioni seguendo come modello proprio le Beatitudini.
Allo stesso tempo, soffermandosi proprio sull’aggettivo “beato”, il Papa precisa che «il termine originale non indica uno che ha la pancia piena o se la passa bene, ma è una persona che è in una condizione di grazia, che progredisce nella grazia di Dio e che progredisce sulla strada di Dio», mentre oggi lo si cita a sproposito per definire il benessere materiale. Invece «Dio, per donarsi a noi, sceglie spesso delle strade impensabili, magari quelle dei nostri limiti, delle nostre lacrime, delle nostre sconfitte. È la gioia pasquale di cui parlano i fratelli orientali, quella che ha le stimmate ma è viva, ha attraversato la morte e ha fatto esperienza della potenza di Dio» nel riscattare. Pertanto «le Beatitudini ti portano alla gioia, sempre; sono la strada per raggiungere la gioia. Ci farà bene prendere il Vangelo di Matteo oggi, capitolo quinto, versetto da uno a undici e leggere le Beatitudini ‒ forse alcune volte in più, durante la settimana ‒ per capire questa strada tanto bella, tanto sicura della felicità che il Signore ci propone».
Giovedì, 30 gennaio 2020