di Guido Santevecchi dal Corriere della Sera del 29/12/2020
«Ha provocato disordine sociale». Hong Kong, processo ai 12 ragazzi che volevano fuggire a Taiwan
Il processo è durato meno di tre ore: Zhang Zhan, 37 anni, cittadina giornalista arrestata a maggio dopo che sul suo blog aveva documentato la tragedia di Wuhan, è stata condannata a quattro anni di carcere. A febbraio aveva filmato i malati ammassati nelle corsie degli ospedali, aveva denunciato i ritardi della risposta politica, aveva intervistato commercianti disperati nella città paralizzata dalla quarantena. Scene simili scorrono da mesi sui tg dall’Europa agli Stati Uniti. Ma in Cina non si possono muovere critiche pubbliche al Partito-Stato che si vanta di aver sconfitto il Covid-19 e vuole riscrivere la narrazione cancellando le prove del disastro iniziale.
Ieri mattina il giudice ha detto che le notizie diffuse dalla blogger «hanno provocato disordine sociale». A Zhang Zhan non è stato contestato di aver distorto i fatti, ma di averli mostrati senza filtro ai cinesi sui loro social network e anche (forse soprattutto) al resto del mondo su YouTube e Twitter. L’ultimo post pubblicato a inizio maggio diceva: «Il governo amministra le città della Cina con intimidazioni e minacce, è questa la vera tragedia del nostro Paese».
La blogger si riferiva alla vicenda che aveva scosso l’opinione pubblica a gennaio: la censura ricevuta dal dottor Li Wenliang, medico ospedaliero di Wuhan, per aver dato l’allarme sull’epidemia che si stava diffondendo in città mentre ancora le autorità parlavano solo di «polmonite misteriosa» e negavano che la malattia si trasmettesse tra persone. Il dottor Li fu convocato dalla polizia e ammonito a non «diffondere voci», ma quando qualche giorno dopo si ammalò e morì per il coronavirus diventò un eroe popolare e le autorità dovettero ammettere che si era sacrificato invano.
Qualcuno si era illuso che la fine di Li potesse servire da insegnamento e cambiare le cose. Tra questi Zhang Zhan, che aveva lasciato il suo lavoro di avvocato a Shanghai per trasformarsi in cittadina giornalista ed era andata a Wuhan. Ora la sua condanna dimostra che se il medico non fosse morto e se avesse continuato a parlare, sarebbe finito anche lui sotto processo.
L’accesso al tribunale di Shanghai dove ieri si è tenuta la brevissima udienza è stato negato alla stampa «per evitare assembramenti pericolosi in tempi di epidemia»; l’imputata è stata portata in aula su una sedia a rotelle, indebolita dallo sciopero della fame attutato come unica forma di protesta possibile contro l’ingiustizia.
Il suo avvocato ha informato la corte che da giugno Zhang è stata alimentata a forza con un tubo e che per evitare che se lo strappasse la polizia carceraria le ha legato le mani; che da settimane la donna soffre di dolori addominali, senso di vertigine, infezione alla gola e bassa pressione; la blogger è determinata a proseguire il rifiuto del cibo fino alle estreme conseguenze, ha concluso la difesa.
Ma di queste circostanze il magistrato non si è occupato, doveva soltanto leggere la sentenza di colpevolezza per «turbativa della stabilità sociale». Altri tre blogger di Wuhan sono in cella, nella Repubblica Popolare nel 2020 sono stati messi in carcere 47 giornalisti e le «preoccupazioni» espresse dall’Alto Commissariato Onu per i diritti umani non ricevono risposte. La tragedia del Coronavirus in Cina non ha intaccato il sistema di censura sull’informazione, al contrario, ha accresciuto la durezza delle autorità.
Inutile sperare che proteste dall’estero possano far cambiare linea al Partito: o vengono ignorate o sono respinte per «ingerenza in affari interni», come quella sollevata ieri da Washington a favore dei dodici ragazzi di Hong Kong catturati mentre cercavano di andare in esilio. Sono stati bloccati in agosto su un motoscafo diretto verso Taiwan e ieri sono comparsi in tribunale in Cina. Rischiano una dura condanna in base alla legge sulla sicurezza nazionale cinese.
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