Di Luca Foschi da Avvenire del 17/08/2021
Restano solo cinque giorni di elettricità all’American University of Beirut Medical Center. Poi i cinquanta adulti e quindici bambini che vivono grazie ai respiratori moriranno. Seguiranno nei giorni successivi le 180 persone che necessitano di dialisi, e in poche settimane e mesi tutti i malati di cancro. Il primo, incredibile annuncio del più antico ospedale universitario del Medio Oriente è arrivato sabato, quando l’ufficio di comunicazione ha indicato il giorno di lunedì come termine ultimo per la soluzione dell’emergenza energetica. Solo ieri, nel pomeriggio, un rappresentante dell’istituto ha comunicato che grazie ai trasferimenti di carburante ottenuti nelle ultime quarantotto ore l’ospedale potrà prolungare le proprie attività per altri cinque rapidissimi giri d’orologio. La crisi sanitaria è solo una delle numerose, interrelate forme del collasso libanese. All’incapacità storica di provvedere al fabbisogno energetico si è aggiunta una crisi economica che ha annichilito il valore della lira, fittiziamente ancorata al dollaro. Quasi tutti i salari si sono ridotti a un decimo del loro potere d’acquisto. La penuria di diesel per i generatori e benzina per le automobili ha ridotto il Paese all’oscurità, costretto i ritmi della vita intorno alle prese di corrente, creato mostri di lamiere arroventate per chilometri lungo le strade e nei piazzali delle stazioni. Una settimana fa, nel nord del Paese, la feroce difesa del serbatoio ha portato a due scontri a fuoco, conclusisi con la morte di tre persone. Viaggiare spesso significa lavoro, medicine, il pane ottenuto con lunghissime e medievali file davanti ai forni, a Tripoli come a Beirut Est, nel quartiere cristiano di Geitawi. Mentre il direttore della banca centrale Salameh minaccia di sospendere i sussidi, operazione che quintuplicherebbe il costo della benzina, con ritardataria ostentazione il governo provvisorio ha spedito l’esercito a rovistare fra serbatoi e casolari. Da tempo è conosciuto l’accumulo per il mercato nero e la vendita a prezzo maggiorato in Siria. È stato uno di questi ritrovamenti a causare l’esplosione che domenica mattina, nel piccolo centro di Tleil, ha ucciso 33 persone e ne ha ferito 80. Durante la distribuzione consolatoria di un carico clandestino un colpo d’arma da fuoco o un accendino avrebbero innescato l’ecatombe. Mentre la casa del proprietario della stazione veniva consegnata alle fiamme, alcuni giovani occupavano quella del deputato Tareq Merhebi, rappresentante della regione dell’Akkar per il partito sunnita di Saad Hariri.
Intanto, decine di feriti venivano trasferiti negli ospedali della capitale, gli unici capaci di garantire cura a ustioni e ferite gravi. «Il Libano ha sempre saputo rialzarsi con dignità, ma questa volta è diverso. Non ho più nipoti qui, son tutti partiti negli ultimi mesi. La speranza non può più esistere», dice sconsolata Maya El Hachem, italo- libanese e primario di dermatologia del Bambin Gesù, mentre attende i parenti fuori dall’aeroporto. È arrivata a Beirut ieri sera, carica di medicinali per tutta la famiglia.