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“Il nuovo codice anticorruzione? Non è inutile ma pericoloso”

2 Ottobre 2017 - Autore: Alfredo Mantovano

Da il Giornale del 1/10/2017. Foto da articolo

Si può essere perplessi su alcuni passaggi della riforma del codice antimafia senza patire il marchio di intelligenza con i criminali? La lettura delle decine di disposizioni cambiate o introdotte ex novo fa emergere modifiche inutili, altre pericolose, altre interessanti.

1. Le novità inutili. Come si fa a dire che prima della riforma le misure di prevenzione patrimoniali non potevano colpire gli autori di corruzioni? Dopo aver avuto un ruolo nel governo che nel 2008-2009 estese l’ambito di applicazione del sequestro e della confisca dei beni di provenienza illecita – coordinavo il gruppo di lavoro che ha redatto quelle disposizioni -, attualmente mi occupo della prevenzione patrimoniale dal lato della applicazione, in un ufficio giudiziario cui in grado di appello è demandata, fra le altre, questa competenza. Ho scritto conferme di confische di beni per decine di milioni di euro a carico di soggetti non mafiosi responsabili di corruzioni: se l’intento della riforma era di colpire costoro, non colgo la necessità di ribadire quanto è già pacificamente praticato. Con le nuove norme il rischio di sovrapposizione, e quindi di confusione, fra il processo penale e il procedimento di prevenzione, c’è tutto, e con esso quello dell’abbassamento del livello di garanzie: soprattutto se la confisca di prevenzione viene attivata di fronte a ipotesi di corruzione per le quali non si può andare avanti, perché estinte per prescrizione, magari già nella fase delle indagini. In questi casi non si è formata la prova della corruzione, ma a distanza di più anni si colpiscono i beni dell’ex indagato prosciolto: va tutto bene? Di recente la Cedu ha puntato l’attenzione sul sistema italiano della prevenzione, e ha enucleato alcuni principi rispetto ai quali le disposizioni della riforma si muovono nella direzione contraria: qui il «ce lo dice l’Europa» non vale più?

2. Le novità pericolose. Il Parlamento immagina che basti scrivere che il procedimento di prevenzione debba concludersi rapidamente perché ciò accada, e per questo ha ridotto i termini di decisioni che invece sono complicate e difficili. Il quadro è il seguente: dal momento dell’esecuzione del sequestro al momento della pronuncia sulla confisca dei beni il Tribunale finora ha avuto 18 mesi di tempo; scaduto l’anno e mezzo, i beni andavano restituiti al presunto criminale. Si poteva prorogare quel termine per due semestri consecutivi, e il termine stesso era sospeso senza limite nell’ipotesi, non infrequente, dello svolgimento di perizia. Con la riforma la proroga è ammessa per un solo semestre e la sospensione per la perizia non deve superare il trimestre: significa rendere impossibile gli accertamenti peritali, talora indispensabili per ricostruire le vicende di patrimoni complessi, oppure rischiare il superamento dei termini, e quindi la restituzione dei beni. Qui non vi è abbassamento di garanzie, ma di efficienza. La velocizzazione dei procedimenti dipende dal potenziamento dei magistrati addetti, e soprattutto del personale di cancelleria: cioè dall’azione del governo, non del Parlamento.

3. Le novità interessanti. Riguardano il rafforzamento dell’Agenzia per i beni confiscati. Sarebbe stato sufficiente concentrare le energie su questo aspetto. Le norme che finora hanno permesso di colpire i beni di provenienza illecita hanno fatto raggiungere risultati straordinari quanto a valore del confiscato. Il problema più serio oggi è che solo una parte dei beni sottratti ai criminali raggiungono effettivamente le destinazioni istituzionali e sociali, completando la partita di giro: tolgo ai mafiosi per dare alla Polizia o a una comunità o alla fruizione di un quartiere. La quantità di beni confiscati ancora inutilizzati delegittima il sistema. La quantità di aziende con lavoratori dipendenti che falliscono dopo la confisca fa pronunciare in terre di mafia la bestemmia «stavamo meglio prima». Il coinvolgimento (non la polemica) di realtà come Confindustria e di altre associazioni di categoria – come in più d’un caso è già accaduto – potrebbe recuperare professionalità manageriali da dedicarvi: anche questo si correla a un’azione di governo.

Alfredo Mantovano

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