Le facili previsioni sull’Afghanistan neo-talebano si sono puntualmente avverate
di Valter Maccantelli
Esattamente un anno fa andava in scena lo spettacolo del ritiro di tutte le forze militari degli Stati Uniti e dei loro alleati, italiani compresi, dall’Afghanistan. Questo ritiro rappresentava l’attuazione, preparata male e attuata peggio, degli accordi di Doha, grazie ai quali gli Stati Uniti stessi affidavano ai talebani la “transizione democratica” dell’Afghanistan.
Nelle settimane successive al ritiro si sono sprecate dichiarazioni di fiducia da parte occidentale nei confronti della versione 2.0 degli studenti coranici, quella in cui si facevano intervistare da qualunque giornalista donna presente, promettendo libere elezioni e concerti musicali per tutti. Tanto che su pressione ONU l’amministrazione Biden stava provvedendo allo sblocco dei fondi della Banca Nazionale Afghana detenuti da banche americane e congelati all’indomani della presa di Kabul.
Commentando quegli eventi, molti analisti sottolinearono alcune questioni aperte e sulle quali i talebani avrebbero dovuto confrontarsi, sia sul piano interno che esterno. Vale la pena, un anno dopo, riprendere quei punti aperti per vedere come sono andate le cose.
Sul piano interno e politico i “Talebani 2.0” si erano più volte impegnati a formare un governo “inclusivo” mediante l’organizzazione di libere elezioni. Ad oggi il governo, tuttora ad interim, ha “incluso” soltanto le fazioni talebane meglio armate, come la Rete Haqqani. Gli altri, i famosi esponenti delle opposizioni o quelli non direttamente riconducibili ai Talebani, si dividono tra clandestinità , arresti domiciliari e prigioni.
Le elezioni non solo non si sono svolte, ma la stessa commissione elettorale incaricata di prepararle è stata sciolta perché “inutile”. Va da sé che ogni altra promessa in tema di diritti politici non è neppure stata presa in considerazione: il genere femminile sembra sparito, i “collaborazionisti” pure e gli strumenti musicali sono serviti come legna da ardere.
Sempre sul piano interno i Talebani si erano impegnati a combattere il narcotraffico, che fa dell’Afghanistan il primo produttore di oppiacei del mondo, ma nell’ultimo anno la produzione ed esportazione di narcotici anziché diminuire è aumentata di quasi il 10 % rispetto al 2020. La scorsa primavera il governo afgano, alla ricerca di nuovo consenso internazionale, ha annunciato la messa al bando delle coltivazioni di oppio: per il momento solo un annuncio, in attesa di decreti attuativi sulla cui genuinità si nutrono fondati dubbi.
Altro fronte su cui i Talebani avevano aperto un linea di credito era l’impegno a non fare dell’Afghanistan una base per il terrorismo islamico internazionale. Le cose sembrano essere andate in modo diverso. Come figura emblematica di questo “nuovo corso” possiamo prendere Sirajuddin Haqqani, attuale Ministro degli Interni del governo dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan: figlio del leader e fondatore dell’omonima rete fondamentalista, occupa una posizione di rilievo nella lista dei maggiori ricercati dell’FBI, che ha messo sulla sua testa una taglia di 10 milioni di dollari. Se qualcuno volesse candidarsi alla riscossione potrebbe suggerire di cercare il noto latitante in orario d’ufficio presso la sede del Ministero degli Interni in Airport Road, negli edifici di fronte all’ospedale Shahik Zayed, dietro la rotonda dell’ex-compound dell’USMC (Kabul 34°34′04.13″N 69°10′42.82″E). Ma c’è di più: fra il giugno 2021 e il maggio 2022 ben tre report del Consiglio di Sicurezza ONU (1 – 2 – 3) indicano lui e la rete di cui è il leader come referenti di al-Qaeda nella regione, citando rapporti di intelligence che vorrebbero lo stesso Sirajuddin Haqqani come membro effettivo e non mero fiancheggiatore dell’organizzazione.
Nonostante la solida e storica vicinanza fra i Talebani e al-Qaeda e un’altrettanto solida inimicizia di entrambi verso la branca locale dello Stato Islamico (IS)ISIS-K, vista la totale libertà d’azione che ISIS-K sembra godere in alcune aree del Paese qualcuno comincia a sospettare che la stessa fazione Haqqani sia in contatto, tramite i soliti servizi pakistani, con gli odiati miliziani avversari, al fine di mantenere alto il caos tramite una raffica di attentati suicidi (l’ultimo in una Madrasa di Kabul lo scorso 11 agosto, nel quale sono rimasti uccisi almeno 11 esponenti Talebani di medio livello), permettendo così il prevalere all’interno del governo talebano delle componenti più radicali (cioè gli Haqqani stessi). Può sembrare cervellotico, ma in Afghanistan si è visto di peggio. La stessa uccisione di Ayman al-Zawahiri, eseguita a colpo sicuro da missili USA mentre il leader di al-Qaeda era a Kabul sotto la protezione degli Haqqani, potrebbe essere frutto di questi infiniti intrecci di ostilità e favori, di cui la Casa Bianca avrebbe beneficiato più o meno coscientemente.
Infine, uno sguardo al contesto internazionale che ruota attorno all’Emirato Islamico. Un anno fa, in alcuni interventi sul futuro internazionale della “Casa dei nuovi Talebani,” avevamo usato una metafora volutamente paradossale, che però mi sembrava riassumere efficacemente lo status quo dell’epoca: la Russia alla finestra, la Cina alla porta, la Turchia in salotto, il Pakistan nel letto. Un anno dopo mi sembra che questo quadro si vada confermando. Oggi aggiungerei solo: gli Stati Uniti d’America sul tetto.
La Russia continua a presidiare neanche troppo da lontano le repubbliche ex.sovietiche confinanti, per impedire contaminazioni fondamentaliste del suo già irrequieto limes meridionale. La Cina onora il suo impegno ad una benevola e generosa neutralità, in cambio della corrispettiva astensione da parte talebana a supportare le frange più irrequiete dell’irredentismo Huigur nel confinante Xinjiang. La Turchia (insieme al Qatar) ha oramai stabilizzato il suo ruolo di partner per il supporto tecnologico e umanitario al governo talebano, orfano dei collaboratori tecnici occidentali. Il Pakistan continua ad essere il referente imprescindibile della politica interna afghana, pur se con qualche periodico screzio, come accade in ogni famiglia. E, infine, gli USA stanno sul tetto, lanciando occasionali sassaiole (con droni a controllo molto remoto) più per esigenze di propaganda interna che per reale interesse geopolitico, come dimostra proprio l’eliminazione di al-Zawahiri.
Tutto come previsto, purtroppo.
Martedì, 30 agosto 2022