di Michele Brambilla
Oggetto dell’udienza generale di Papa Francesco del 6 novembre è il celebre episodio della predicazione di san Paolo ad Atene (At 17). Il Vangelo giunge nella capitale della cultura ellenistica, che per la prima volta era chiamata a confrontarsi con la Rivelazione cristiana. Le parole del Papa, che commentano il testo biblico, ci permettono di immaginare il fremito, non solo di meraviglia, che prese Paolo alla vista delle mura di Atene: «Questa città, che viveva all’ombra delle antiche glorie malgrado la decadenza politica, custodiva ancora il primato della cultura. Qui l’Apostolo “freme dentro di sé al vedere la città piena di idoli” (At 17,16)». Il monumento che più colpiva i viaggiatori antichi fin dal primo istante in cui lo scorgevano era, infatti, un’enorme statua della dea Atena, posta davanti al Partenone e ricoperta d’oro in maniera tale da riflettere la luce del sole. «Questo “impatto”», potremmo dire “frontale”, «col paganesimo» non ha però un effetto scoraggiante su Paolo, ma rafforza in lui la ricerca dei semina Verbi insiti nella cultura molto raffinata della città, in particolare nella filosofia.
«Paolo», infatti, «sceglie di entrare in familiarità con la città e inizia così a frequentare i luoghi e le persone più significativi. Va alla sinagoga, simbolo della vita di fede; va nella piazza, simbolo della vita cittadina; e va all’Areopago, simbolo della vita politica e culturale. Incontra giudei, filosofi epicurei e stoici, e molti altri». Proprio «nel cuore di una delle istituzioni più celebri del mondo antico, l’Areopago», sede anche dei tribunali (secondo la mitologia greca, vi era avvenuto il processo in cui furono assolti Oreste ed Elettra, figli del re omerico Agamennone, che avevano vendicato il padre uccidendo la madre), «egli realizza uno straordinario esempio di inculturazione del messaggio della fede: annuncia Gesù Cristo agli adoratori di idoli, e non lo fa aggredendoli», ma prendendo spunto da un altare dedicato a «un dio ignoto» (At 17,23), in cui vede riflessa la continua ricerca del fondamento delle cose.
Il tentativo di Paolo pare funzionare fino a che l’apostolo non cita la resurrezione della carne: era un concetto inaccettabile soprattutto per i filosofi platonici, secondo i quali il corpo era una prigione da cui bisognava liberarsi per raggiungere il mondo perfetto delle Idee. Tuttavia anche quel giorno qualcuno si convertì. «Tra questi un uomo, Dionigi, membro dell’Areopago», che oggi è il santo patrono di Atene, «e una donna, Damaris». I primi cristiani di Atene sono quindi due laici, segno ancora una volta della bontà della direzione “pionieristica” presa da Paolo, che porta alla consecratio a Cristo di ogni realtà temporale.
Francesco si chiede allora come i cattolici guardino alle metropoli del mondo contemporaneo, non meno piene di idoli dell’Atene classica. «Chiediamo anche noi oggi allo Spirito Santo di insegnarci a costruire ponti con la cultura, con chi non crede o con chi ha un credo diverso dal nostro. Sempre costruire ponti, sempre la mano tesa, niente aggressione. Chiediamogli la capacità di inculturare con delicatezza il messaggio della fede, ponendo su quanti sono nell’ignoranza di Cristo uno sguardo contemplativo, mosso da un amore che scaldi anche i cuori più induriti».
Giovedì, 7 novembre 2019