Le Sette opere di misericordia di Caravaggio e un’importante integrazione del Catechismo tridentino
di Michele Brambilla
Ormai alle soglie della Quaresima, ci soffermiamo su un autentico capolavoro di Michelangelo Merisi, detto “Caravaggio” (1571-1610), realizzato per la chiesa del Pio Monte della Misericordia di Napoli. La pala d’altare, che si trova ancora nell’edificio per il quale fu progettata, si colloca in un momento burrascoso della vita del pittore (1607), ricercato dalla giustizia dello Stato pontificio per un duello finito nel sangue, e della stessa Napoli, travagliata dalla carestia. L’intenzione di Caravaggio era rappresentare su un’unica tela le sei opere di misericordia corporale indicate nel Vangelo, ma la committenza richiese l’inserimento di una settima, il seppellimento dei morti, proprio a causa della carestia imperante. Il numero 7 per le opere di misericordia corporale sarebbe stato poi ufficializzato nella prassi catechetica. La base scritturale per l’aggiunta del seppellimento dei defunti si può trovare, infatti, nei libri veterotestamentari di Tobia e dei Maccabei. L’elenco delle opere di misericordia non era stato esplicitato nel Catechismo Romano tridentino (1566) allora in uso, mentre sarebbe stato messo “nero su bianco” in quello di san Pio X (1910).
Merisi pensò, allora, di indicare ciascuna opera con un’azione che la rappresentasse sinteticamente. Celebre ed inconsueta la scelta di condensare il precetto “dare da mangiare agli affamati” nella donna che, sulla destra, tende il suo seno ad un anziano carcerato, che succhia così il latte materno attraverso le sbarre della sua cella. In questo modo Caravaggio poteva riassumere in una sola immagine anche la visita ai prigionieri. A Roma una tela di questo tipo sarebbe stata sicuramente cassata, mentre trovò un’accoglienza quasi naturale nell’atmosfera “carnale” dei vicoli di Napoli.
Sulla sinistra ecco presentarsi altri due precetti: “vestire gli ignudi” ed “ospitare i pellegrini”. Nel primo caso abbiamo un nobiluomo armato (ha la spada al suo fianco) che tende il suo mantello ad un senzatetto che giace ai suoi piedi: una chiara allusione a san Martino di Tours (316-397) e al gesto di carità che lo ha reso giustamente celebre.
Nel secondo caso, si scorge un membro delle confraternite che, nel Seicento, accoglievano i pellegrini a Roma e in altri centri di pellegrinaggio: con il dito sta indicando la locanda o il luogo di ricovero ad un viandante barbuto. Appena sopra, un altro bisognoso si sta dissetando (“dare da bere agli assetati”).
Il povero a cui è teso un mantello rosso potrebbe rappresentare anche “visitare gli infermi”. La settima opera di misericordia si scorge, invece, dietro il muro della prigione, dove due uomini, di cui uno in abito liturgico, stanno seppellendo la salma di un defunto “a ceri accesi” (all’epoca ai suicidi, come sarebbe stato forse, un giorno, lo stesso Caravaggio, si negavano le esequie pubbliche). Del morto si scorgono appena i piedi nudi. Un simbolo eloquente: Papa Francesco insiste molto sul fatto che il sudario non ha tasche. Nell’epoca barocca era una riflessione molto frequente, proprio mentre chiese e palazzi si ricoprivano di decorazioni sempre più sfarzose.
Soprintende a tutta la scena, dall’alto, la Madonna con il Bambino. Madre e Figlio sono avvolti dalle ali degli angeli, che creano un vivacissimo turbine. Si rende, così, esplicita l’azione dello Spirito Santo nell’opera caritativa della Chiesa.
Sabato, 11 febbraio 2023