Il bene possibile non va mai procrastinato
di Michele Brambilla
Come spiega Papa Francesco all’inizio dell’Angelus del 19 dicembre, «il Vangelo della liturgia di oggi, quarta domenica di Avvento, narra la visita di Maria a Elisabetta (cfr Lc 1,39-45). Ricevuto l’annuncio dell’angelo, la Vergine non rimane in casa, a ripensare all’accaduto e considerare i problemi e gli imprevisti, che certo non mancavano», ma «al contrario, per prima cosa pensa a chi ha bisogno; invece di essere ripiegata sui suoi problemi, pensa a chi ha bisogno, pensa a Elisabetta sua parente, che è avanti negli anni e incinta».
La Madonna accorre al capezzale della cugina senza perdere tempo: «si alzò e andò in fretta» (Lc 1,39). Il Papa sottolinea molto questi due verbi: «Si alzò e andò. Nell’ultimo tratto del cammino di Avvento lasciamoci guidare da questi due verbi. Alzarsi e camminare in fretta: sono i due movimenti che Maria ha fatto e che invita anche noi a fare in vista del Natale. Anzitutto, alzarsi», che significa la fierezza della fede, che non si fa intimidire né scoraggiare. «Immaginiamo quanti pensieri e turbamenti aveva! Tuttavia», rimarca il Pontefice, «non si scoraggia, non si abbatte, ma si alza. Non volge lo sguardo in basso, verso i problemi, ma in alto, verso Dio. E non pensa a chi chiedere aiuto, ma a chi portare aiuto. Sempre pensa agli altri: così è Maria, pensando sempre ai bisogni degli altri», come ha fatto durante le nozze di Cana e come farà sempre nella storia della Chiesa. I fedeli cattolici devono imitare la prontezza di Maria nell’agire per il bene, in maniera disinteressata, vincendo con la carità i pensieri cattivi e le tentazioni.
«Il secondo movimento è», infatti, «camminare in fretta. Non vuol dire procedere con agitazione, in modo affannato, no, non vuol dire questo. Si tratta invece di condurre le nostre giornate con passo lieto, guardando avanti con fiducia, senza trascinarci di malavoglia, schiavi delle lamentele» che ammorbano i nostri contemporanei. Si realizza, così, il passaggio dalla contemplazione all’azione apostolica, che non va mai procrastinata: «andando verso la casa di Elisabetta, Maria procede con il passo svelto di chi ha il cuore e la vita pieni di Dio, pieni della sua gioia. Allora chiediamoci noi, per il nostro profitto: com’è il mio “passo”? Sono propositivo oppure mi attardo nella malinconia, nella tristezza? Vado avanti con speranza o mi fermo per piangermi addosso? Se procediamo con il passo stanco dei brontolii e delle chiacchiere, non porteremo Dio a nessuno, soltanto porteremo amarezza, cose oscure. Fa tanto bene, invece, coltivare un sano umorismo, come facevano, ad esempio, san Tommaso Moro o san Filippo Neri», noti per la loro arguzia. Thomas More affrontò con un sorriso persino l’esecuzione capitale! Quanto a san Filippo Neri, esortava i ragazzi del suo oratorio a rimanere sempre allegri, perché la tristezza puzza di zolfo.
Allora, dice il Papa, «possiamo chiedere anche questa grazia, la grazia del sano umorismo: fa tanto bene. Non dimentichiamo che il primo atto di carità che possiamo fare al prossimo è offrirgli un volto sereno e sorridente. È portargli la gioia di Gesù, come ha fatto Maria con Elisabetta».
Lunedì, 20 dicembre 2021