Di Giorgio Cuscito da Limes del 02/07/2020
L’entrata in vigore a Hong Kong della legge sulla sicurezza nazionale ridimensiona fortemente l’autonomia della regione amministrativa speciale (Hksar) da Pechino. La nuova cornice legale attribuisce al governo centrale e a quello locale nuove competenze e organi per controllare più da vicino gli abitanti del Porto Profumato. Inoltre, vincola saldamente il sistema giudiziario hongkonghese a quello della Cina continentale. Insomma, compromette il principio “un paese, due sistemi” che regola il rapporto tra la regione e la capitale.
La legge è stata approvata il 30 giugno ed è entrata in vigore il 1° luglio, cioè il giorno in cui è ricorso il 23° anniversario della restituzione di Hong Kong dal Regno Unito alla Repubblica Popolare Cinese (Rpc) e il 99° anniversario della fondazione del Partito comunista.
Il messaggio è chiaro: Pechino vuole porre fine alle ambizioni democratiche, localiste e in alcuni casi secessioniste che animano una parte della popolazione hongkonghese. Ambizioni che, secondo la leadership cinese, potenze esterne come gli Stati Uniti potrebbero alimentare per destabilizzare la Rpc e minare nel lungo periodo la sovranità del Partito comunista. Migliaia di persone si sono riversate nelle strade della città, ignorando il divieto di assembramento imposto formalmente a causa del coronavirus. La polizia ha effettuato circa 300 arresti, applicando immediatamente la nuova normativa.
Epopea di “un paese, due sistemi”
La Basic Law, la mini-costituzione di Hong Kong, garantisce a quest’ultima un sistema politico ed economico di stampo britannico, un alto livello di autonomia dei poteri esecutivo e legislativo e un sistema giudiziario indipendente fino al 2047. Tuttavia, il sistema elettorale hongkonghese valorizza il legame tra l’élite economica locale e Pechino e determina regolarmente un esecutivo fedele al potere centrale.
L’articolo 45 della Basic Law stabilisce come “obiettivo ultimo” il suffragio universale per l’elezione del capo del governo regionale. Nel corso degli anni, larga parte della popolazione si è aggrappata a questa norma sperando di ottenere un sistema “genuinamente” democratico.
Eppure l’obiettivo di Pechino era e resta un altro: permettere alla Hksar di continuare a fungere da connettore finanziario e culturale tra Rpc e resto del mondo per poi inglobarla lentamente nei meccanismi politici ed economici cinesi.
Il piano di riforma proposto nel 2014 non intaccava minimamente l’assetto politico regionale. Il suffragio universale era percepito come mero metodo elettorale, non come strumento democratico. Di qui le proteste degli hongkonghesi, che hanno generato la “rivoluzione degli ombrelli” e indotto il parlamento locale a respingere il progetto.
Nel frattempo, Xi ha attuato delle misure per ridimensionare il ruolo finanziario del Porto Profumato nel lungo periodo. Tra queste spiccano la trasformazione dell’isola di Hainan in una zona economica speciale e il progetto della Grande Baia, che prevede l’integrazione logistica ed economica tra Hong Kong, Macao e alcune città del Guangdong.
Le proteste e gli episodi di violenza avvenuti tra il 2019 e il 2020 a causa della famigerata proposta di legge sull’estradizione(mai entrata in vigore) hanno spinto Pechino a introdurre un nuovo quadro normativo a protezione della sicurezza nazionale, senza sottoporlo all’attenzione del governo e del parlamento hongkonghese. Segno più evidente del fatto che il principio “un paese, due sistemi” sta perdendo valore.
Nel medio periodo, la legge potrebbe alimentare l’instabilità regionalee indebolire il soft power della Repubblica Popolare. I movimenti interni alla fazione pro democrazia locale e la reazione di Usa e Taiwan ne sono la prova.
Cosa prevede la legge
Lo scopo formale della nuova legge (66 articoli divisi in sei capitoli) è “prevenire, sopprimere e punire i reati di secessione, sovversione, organizzazione e perpetrazione di attività terroristiche e collusione con paesi stranieri o elementi esterni che mettano in pericolo la sicurezza nazionale” a Hong Kong. Il fatto che, come mostra l’immagine di apertura, cantare slogan o mostrare bandiere a favore delle secessione sia considerato un crimine passibile di arresto dà l’idea di quanto rigidamente le forze di polizia applichino la nuova legge.
A ciò si aggiunga che i confini interpretativi del quadro normativo sono piuttosto ampi. Possono essere incriminati anche i soggetti e le imprese straniere che operano nella Hksar e coloro che lo violano pur trovandosi altrove. Questi ultimi potrebbero essere arrestati una volta messo piede nella regione.
La commissione per la tutela della sicurezza nazionale nella regione è il cuore del nuovo meccanismo normativo. È presieduta dal capo del governo locale e tra i suoi membri include anche un consigliere scelto direttamente da Pechino. La commissione si interfaccia con le forze di polizia, che saranno dotate di un dipartimento incaricato delle attività di indagine e di enforcement nel campo della sicurezza nazionale. L’ente potrà assumere specialisti e tecnici “esterni” alla Hksar, cioè provenienti dalla Cina continentale.
In base all’articolo 18, il dipartimento della Giustizia hongkonghese disporrà di una nuova divisione per i crimini contro la sicurezza nazionale. I suoi componenti saranno nominati dal segretario della Giustizia una volta ottenuta l’approvazione dal capo dell’esecutivo. Quest’ultimo incaricherà un certo numero di giudici di gestire i casi oggetto della legge nei vari gradi di appello. Significa che in questo ambito il potere giudiziario non è autonomo dal governo locale né, indirettamente, da Pechino.
L’articolo 48 è di fondamentale importanza. Prevede la creazione in loco di un ufficio per la salvaguardia della sicurezza nazionale alle dipendenze del governo centrale, composto da soggetti inviati dalle autorità di sicurezza della Repubblica Popolare.
L’organo si coordinerà con il comitato locale sopramenzionato e le forze di polizia. Tra i suoi compiti spiccano la raccolta e l’analisi di informazioni di intelligence (qingbao xinxi) e la gestione dei casi più complessi di crimini contro la sicurezza nazionale, come quelli che coinvolgono un paese straniero e che riguardano una minaccia imminente. Di fatto, Pechino ha reso ufficiale ciò che sino a oggi era ufficioso: la presenza dei suoi apparati di intelligence nel Porto Profumato.
In base all’articolo 56, i dossier gestiti dall’ufficio per la sicurezza nazionale saranno presi in carico dalla Procura suprema del popolo e dalla Corte suprema del popolo cinese. In sostanza, le autorità giudiziarie della Rpc si occuperanno dei crimini considerati più seri. Questo passaggio crea una connessione diretta tra il sistema giudiziario hongkonghese a quello della Cina continentale. E consente di fatto l’estradizione di criminali dalla Hksar. Misura che Pechino non era riuscita a introdurre un anno fa a causa delle proteste iniziate a marzo 2019.
Le conseguenze della legge
Il provvedimento di Pechino ha già innescato significative reazioni a Hong Kong, a Taiwan, a Londra e negli Usa.
Nel Porto Profumato, le frange più attive della fazione pro-democrazia temono di incappare presto nella rete securitaria del governo centrale. Il partito Demosisto, a favore dell’autodeterminazione, si è sciolto poco dopo che il suo fondatore Joshua Wong lo ha lasciato promettendo però di continuare l’attività politica. Anche le organizzazioni Hong Kong National Front e Studentlocalism hanno annunciato la fine delle loro operazioni nella città e il loro spostamento all’estero. Questa circostanza potrebbe dare adito ai timori di Pechino riguardo all’interferenza di potenze esterne nella Hksar. Specialmente se gli attivisti hongkonghesi trovassero rifugio a Taiwan, negli Usa e nel Regno Unito, che non dimentica i trascorsi coloniali.
La nuova legge hongkonghese ha rafforzato l’opposizione di Taipei all’unificazione con la Cina continentale tramite il principio “un paese, due sistemi”. Il governo di Tsai Ing-wen, pronto ad accogliere gli hongkonghesi che vogliono lasciare la regione, sfrutterà le tensioni in corso per denigrare Pechino e guadagnare il sostegno dei paesi stranieri. Soprattutto quello degli Usa, già palese sul piano militare, così da scoraggiare Pechino dall’invadere Taiwan.
Il Regno Unito ha confermato che offrirà il visto e la cittadinanza agli hongkonghesi dotati di passaporto per i britannici d’oltremare. Questi attualmente ammontano a 350 mila, ma in totale nella regione gli aventi diritto a tale documento (cioè i nati prima del 1997) potrebbero essere pari a tre milioni. Per Londra, la legge sulla sicurezza nazionale contraddice l’autonomia della Hksar, stabilita con la dichiarazione congiunta sino-britannica del 1984. Anche l’Australia pensa di proporre agli abitanti del Porto Profumato una soluzione simile a quella britannica.
Washington sta cogliendo il momento per destabilizzare la leadership cinese. Non solo criticando la fragile narrazione dell’ascesa pacifica in salsa mandarina. Ma anche limitando i contatti economici con la stessa Hong Kong, punto di transito di una cospicua parte degli investimenti americani nella Rpc. Il dipartimento del Commercio Usa ha revocato lo status speciale al Porto Profumato, in base al quale considerava quest’ultimo come separato dal resto della Repubblica Popolare. Poi ha sospeso l’esportazione di equipaggiamenti militari e ristretto quello di prodotti tecnologici verso la Hksar.
È probabile che la Casa Bianca applichi nuove sanzioni contro Pechino qualora, in nome della nuova legge, le proteste venissero represse con la violenza e il numero di arresti crescesse rapidamente.
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