Comunicato stampa del Centro Studi “Rosario Livatino” del 12/04/2019
Senza entrare nel merito della vicenda giudiziaria che ha visto ieri l’affermazione di responsabilità per diffamazione del sen. Simone Pillon, e in attesa di leggerne le motivazioni, riteniamo di segnalare talune singolarità:
la sentenza è stata pronunciata appena un mese dopo che la sezione I della Corte EDU (sent. 7/03/2019 Sallusti c. Italia, ric. 22350/13) ha condannato l’Italia per una pronuncia per diffamazione a carico di un giornalista italiano, ravvisando il contrasto con l’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che tutela la libertà di espressione. E’ vero che il centro della sentenza CEDU è stata la pena della reclusione disposta nei confronti di Sallusti – mentre a Pillon è stata inflitta “solo” la pena della multa -, ma è evidente come il richiamo della Corte europea al necessario bilanciamento fra “l’ingerenza giudiziaria”, frutto di una “pressione sociale”, e una manifestazione di pensiero, valga in ogni procedimento penale per diffamazione, in virtù del richiamo CEDU al criterio di proporzione fra la condotta dell’imputato e la sanzione irrogata;
la condanna alla multa è sospesa alla condizione del pagamento di una provvisionale di 30.000 euro alle parti offese. Il che lascia intendere che il risarcimento definitivo sarà più elevato. La verifica del rispetto del principio di proporzione evocato dalla CEDU c’è tutta;
ogni ufficio giudiziario definisce al proprio interno i criteri di priorità nella trattazione dei procedimenti. In quell’ottica di trasparenza che dovrebbe caratterizzare ogni istituzione, sarebbe interessante conoscere in base a quale valutazione di priorità il processo a carico del sen. Pillon è giunto velocemente a decisione, e se analoga rapidità viene garantita in quella sede giudiziaria per la persecuzione di reati obiettivamente più gravi, dai furti alle rapine, e in particolare quante prescrizioni sono state dichiarate nell’ultimo anno e per quali titoli di reato.
Roma, 12 aprile 2019