Plinio Corrêa de Oliveira, Cristianità n. 42 (1978)
Dopo la morte di Paolo VI il 6 agosto di quest’anno, il professor Plinio Corrêa de Oliveira, presidente del consiglio nazionale della Sociedade Brasileira de Defesa da Tradição, Família e Propriedade (TFP) e pensatore cattolico di fama internazionale, ha pubblicato sulla Fôlha de S. Paulo due articoli relativi ai problemi aperti dalla sede vacante, intitolati Clareza e O cunctator: um maximalista?, comparsi rispettivamente il 16 e il 24 agosto scorso. Tali interventi, dopo la scomparsa di Giovanni Paolo I a soli 33 giorni dalla sua elezione al trono di Pietro, hanno riacquistato completa attualità, non solamente di genere, ma anche di fatto. Per questa ragione li presentiamo ai nostri lettori, come espressione, tra l’altro, di pensieri, di speranze, di ansie e di auspici che facciamo nostri in questa vigilia di conclave.
Nuovamente attuali dopo la scomparsa di Giovanni Paolo I
CONSIDERAZIONI E SPERANZE A “SEDE VACANTE”
CHIAREZZA
In questi giorni l’atmosfera elettorale copre da cima a fondo il nostro panorama. In Brasile, naturalmente. E, con la morte di Paolo VI, anche nella Chiesa. La nostra patria temporale e la nostra patria spirituale sono in una fase elettorale.
Tra la consultazione nazionale e l’augusto conclave, che tra breve si riunirà a Roma, le diversità sono enormi. Questo fatto deriva legittimamente dalla natura delle cose.
Però, se le diversità tra l’una e l’altra elezione sono molte, tra esse non mancano neppure punti di affinità. Ne sottolineo uno. Benché estrinseco a entrambe le consultazioni elettorali, tale punto di affinità, in qualche misura, le condiziona. E a questo titolo ha la sua importanza.
Sia per quanto riguarda il conclave che per ciò che si riferisce alle elezioni brasiliane, noto che i commenti e i pronostici fanno riferimento più alle persone che ai programmi.
In questa epoca in cui il pubblico ha tanta influenza perfino nei circoli più riservati; in questa epoca in cui tanti confondono pubblico con propagandistico e immaginano candidamente che il volto della propaganda esprima sempre quello del pubblico; in questa epoca in cui, spesso, un pubblico atono, addormentato, lascia passare gli avvenimenti senza intendere il clamore propagandistico, né la condotta degli uomini pubblici, frequentemente ipersensibili a tale clamore, mi chiedo: sarà vero che le masse vedono e sentono le cose come le presentano tanti cosiddetti mezzi di comunicazione sociale?
Sia per quanto riguarda il Brasile, che per quanto si riferisce alla Chiesa, sono portato a rispondere negativamente. In questo momento trascuro il Brasile, perché così vuole amore di brevità. E passo a parlare della Chiesa.
Proprio della Chiesa, in questa vigilia di conclave.
Davanti alla serie di nomi di candidati al papato, che gli vengono presentati, il popolo non vuole tanto sapere il luogo di origine, l’età e la carriera ecclesiastica, né qual è la sua fisionomia; fisionomia che cade, il più delle volte, in una delle varianti correnti: quella gioviale-sorridente, quella benevola-malinconica, quella scarmigliata-frenetica, questa ultima non ancora in voga per cardinali.
Ciò che il popolo vuole sapere si riduce a questa domanda fondamentale: Paolo VI ha annunciato che la Chiesa era vittima di un misterioso «processo di autodemolizione» (1), e che in essa era penetrato il «fumo di Satana» (2). Il defunto Pontefice – davanti ai cui resti mortali qui mi inchino con la dovuta venerazione – è quindi partito per l’eternità con la «autodemolizione» in corso e con il «fumo di Satana» in espansione. Che cosa penserà il suo successore a proposito della autodemolizione e del fumo? Come si comporterà di fronte all’una e all’altro?
A proposito del nuovo Papa potrebbero essere formulate mille domande. Ma quelle che ho appena preso in considerazione sono più importanti delle altre. Infatti, chi naviga su una barca in mezzo a un fumo pessimo, insieme a passeggeri che scompaginano le tavole, è interessato, anzitutto e principalmente, a sapere che cosa verrà fatto in relazione al fumo e ai demolitori della barca. Orbene, la santa Chiesa di Dio è la mirabile, la nobilissima, direi quasi la adorabile barca di Pietro. È naturale che tali domande se le formulino, in questi giorni, anche i passeggeri di questa barca.
Sono innumerevoli i cattolici secondo i quali il fumo e l’autodemolizione si identificano, a giusto titolo, con due grandi tendenze esistenti nella Chiesa contemporanea. Una di queste tendenze si svolge sul piano teologico, filosofico e morale. È il progressismo.
L’altra tendenza si svolge sul triplice piano diplomatico, sociale ed economico. Essa si denomina, a seconda della angolazione da cui è considerata, avvicinamento all’Est, avvicinamento al socialismo e avvicinamento al comunismo.
Se osserviamo che il progressismo, a sua volta, è un avvicinamento ai mille aspetti di ciò che si è convenuto di chiamare «mentalità moderna» (che è, fino a un certo punto, una finzione a cui pochi aderiscono completamente, molti aderiscono solamente con restrizioni e in proporzioni abbondantemente variabili, e che non pochi respingono), giungiamo alla conclusione che il futuro Papa vedrà il suo pontificato segnato sostanzialmente dall’atteggiamento che assumerà di fronte a ciò che possiamo qualificare come duplice avvicinamento, quello mondano-propagandistico-progressista, e quello social-comunista.
Chiedo scusa al lettore dei neologismi. Forse sarebbe stato opportuno comporli diversamente. Mi si sono presentati currenti calamo, e mi servono per esprimere ciò che voglio dire in modo facile e rapido. In questo modo, fanno risparmiare tempo al lettore e a me. Nella nostra epoca, la fretta fa compatire molte licenze …
Che cosa pensano di questi avvicinamenti i molti cardinali, i cui nomi vengono presentati come papabili? Come vede ciascuno di loro le correnti verso le quali questi movimenti di avvicinamento li invitano? Come idre che è necessario abbattere immediatamente con la spada di fuoco dello Spirito? Come avversari intelligenti, duttili e forse un poco stupidi, con i quali è possibile condurre negoziati lenti, comodi e magari cordiali? Come compagni, in una coesistenza o anche in una collaborazione perfettamente accettabile, e per qualche verso perfino simpatica? Queste sono, tra mille, le domande che la maggior parte dei passeggeri della sacrosanta barca di Pietro gradirebbero fare a ogni papabile.
E a queste domande, che aleggiano nell’aria, il più delle volte colgo attorno a me solamente frammenti di risposte, opachi, vischiosi, assolutamente insoddisfacenti.
Ora, lo si voglia o no, quando dall’alto della loggia di San Pietro sarà proclamato il nome del nuovo Papa, e il consueto clamore di gioia si leverà dalla immensa piazza circondata dal colonnato berniniano, nello stesso momento si presenterà agli spiriti un muto ma ansioso interrogativo. Il nuovo successore di san Pietro, di fronte ai promotori degli avvicinamenti, sarà un lottatore, un negoziatore o un accomodatore?
E colui nel quale risiederà l’eccelso potere delle chiavi, le cui decisioni sono sovranamente indipendenti dai giudizi degli uomini, ma la cui missione pastorale non lo potrà lasciare indifferente alle aspirazioni e alle necessità del gregge, si chiederà, nell’ora solenne della sua acclamazione, quale dei tre atteggiamenti si aspetta da lui questo popolo immenso?
Mentre attendiamo, in preghiera ininterrotta, sommessa e fiduciosa, questo momento solenne del primo incontro ardente di giubilo e carico di preoccupazioni, non ci resta che chiederci che cosa desidera il popolo fedele.
Molti, è abbastanza chiaro, hanno una preferenza definita per un Papa che assuma interamente questo o quell’atteggiamento di fronte al duplice avvicinamento. Mi classifico, come tutti sanno, tra quelli che esulterebbero per la scelta di un Papa combattivo come san Gregorio VII o san Pio X. Altri preferiscono chiaramente un Papa propenso agli avvicinamenti, come fu a suo tempo Pio VII. E così via.
Ma la immensa maggioranza dei fedeli, che cosa desidera?
A prima vista sembra apatica. Tale apatia significherà disinteresse? Non lo credo.
Che cosa sarà allora? A mio modo di vedere, si tratta della espressione dello sconcerto rispettoso, e perciò stesso silenzioso, di chi non capisce, non è d’accordo e non osa dissentire.
Questa immensa maggioranza, nel cui silenzio mi pare di discernere tracce evidenti di stanchezza, disagio e scoraggiamento, desidera, subito e prima di tutto, chiarezza.
Sì, essa desidera, in un silenzio che sta diventando enfaticamente perplesso, sapere soprattutto che cosa è questo fumo, quali sono le etichette ideologiche e gli strumenti umani che servono a Satana come sprays di tale fumo; in che cosa consiste la demolizione, e come si spieghi che questa demolizione sia, stranamente, una autodemolizione.
Non è questo che vorrebbe sapere, lettore? E lei, lettrice? Anch’io vorrei saperlo. E come noi, migliaia, milioni, centinaia di milioni di cattolici.
E vi può essere, per i figli della luce, qualcosa di più giusto, di più logico, di più filiale e di più nobile del domandare chiarezza a colui cui è stato detto: «Tu sei Pietro, e su questa pietra io edificherò mia mia Chiesa» (3)?
IL «CUNCTATOR»: UN MASSIMALISTA?
Nella prima riunione preparatoria del conclave, in cui ha fatto la sua comparsa, il cardinale Wyszynski, arcivescovo di Varsavia, ha informato che era programmato un pellegrinaggio a piedi di 300 mila polacchi – tra i quali quasi 7.500 universitari – al famoso santuario della Madonna di Czestochowa, per implorare sui cardinali i lumi del cielo, affinché la Chiesa abbia un nuovo Papa all’altezza delle difficili condizioni dei giorni che corrono. Una significativa salva di applausi degli altri cardinali ha coronato le parole del cardinale Wyszynski.
Non ne mancavano ragioni.
Anzitutto, il carattere marcatamente spirituale della iniziativa, che dà riposo e respiro agli spiriti saturi della ossessione socio-economica che ha invaso la Chiesa negli ultimi tempi.
Inoltre, la constatazione che, sotto lo spesso strato di ghiaccio del regime comunista, vi è in Polonia un fervore religioso tale da risvegliare in una così grande massa umana l’animo necessario per il lungo percorso (Varsavia-Czestochowa: 240 km.). Questo fatto colpisce in modo particolare, se si tiene conto della sottoalimentazione connaturata a ogni economia comunista.
Motivo di particolare simpatia, poi, il riferimento ai 7.500 universitari.
Il cardinale Wyszynski è apparso così, agli occhi degli elettori del futuro Papa, come la figura carismatica, o quasi tale, che è riuscita a preservare i suoi fedeli dagli attacchi dell’ateismo. Tale era già la sua leggenda. Già da molto si diceva, e ha ancora ripercussioni nei mezzi di comunicazione sociale delle più diverse posizioni ideologiche in Occidente, e (il che è infinitamente più importante) si ripete a mezza voce nei più diversi circoli intellettuali e sociali del mondo libero, che il prelato polacco ha trovato una formula di convivenza tra la Chiesa e il comunismo.
Dal momento che questa formula corrisponde a una convenienza fondamentale dell’umanità (ossia, evitare tensioni religiose che favoriscano una guerra tra l’Oriente e l’Occidente), si pone naturalmente la domanda se la leggenda che circonda l’arcivescovo di Varsavia ne faccia un papabile.
La salva di applausi cardinalizia di cui è stato oggetto può certamente essere interpretata come una cardinalizia approvazione della sua politica nei confronti del comunismo. E, in questa prospettiva, non pare eccessivo immaginare che, davanti alle naturali difficoltà di trovare una candidatura capace di ottenere la totalità dei suffragi, o quasi, il Sacro Collegio opti per acclamare Papa l’arcivescovo di Varsavia, applaudito tanto dalla destra quanto dal centro e dalla sinistra.
In questo caso salirebbe sul trono di san Pietro un uomo-simbolo, un uomo-programma.
Simbolo di che? Programma di che? È quanto rimarrebbe da definire.
Tenterò di farlo, presentando la linea di azione del cardinale Wyszynski nei suoi aspetti più applauditi.
1. Oltre la cortina di ferro, il blocco cattolico più compatto e influente è costituito dalla Polonia, con i suoi trenta milioni di cattolici. Posto che, alla fine dell’ultima guerra, gli occidentali hanno abbandonato ingloriosamente – per dire soltanto questo – l’eroica resistenza dei cattolici polacchi, contemporaneamente antinazista e anticomunista, questo grande blocco è stato sepolto nella notte tenebrosa della dominazione comunista.
2. Per diventare effettiva, la dominazione comunista incontrava due ostacoli: la secolare allergia dei polacchi al colonialismo russo e, soprattutto, la incompatibilità tra la cattolicissima popolazione polacca e il regime marxista, che è, per definizione, ateo, morale e ugualitario. Tali ostacoli imponevano ai comunisti di Mosca una alternativa: colonizzare ancora una volta la Polonia, assoggettandola brutalmente a proconsoli russi, e nello stesso tempo scatenare nel paese una persecuzione neroniana; oppure concedere alla nazione un minimum di autonomia, governarla attraverso comunisti polacchi e non russi, e nello stesso tempo riconoscere alla Chiesa un minimum di libertà.
3. Evidentemente, la seconda formula era l’unica praticabile. Soprattutto tenendo presente il principio di Napoleone, secondo cui con le baionette si può fare tutto, ma non sostenere sulla loro punta un trono stabile. Per i sovietici, però, la saggezza politica non stava soltanto nell’optare per la seconda formula, ma anche, e in modo principalissimo, nel determinare questo minimum da concedere, in Polonia, al sentimento nazionale e alla fede.
Il punto delicato consisteva nel sapere se quello e questa si sarebbero accontentati di un minimum che permettesse loro proprio solamente di sopravvivere. E in condizioni così precarie che, con il passare del tempo, il comunismo riuscisse a estinguere tanto la fede quanto il sentimento nazionale. Diversamente, la concessione di questo minimum sarebbe stata, per i sovietici, una capitolazione.
4. Vedendo la situazione esattamente con gli stessi occhi dei suoi avversari comunisti, il cardinale Wyszynski avrebbe optato per la accettazione di questo minimum. Ma per una accettazione sagace, sfruttandolo al massimo per mantenere accesa la fede. E nello stesso tempo reagendo coraggiosamente contro tutti i tentativi comunisti di ridurre gradualmente -questo esiguo minimum.
Sagacia e coraggio: proprio le due virtù che rifulgono nella leggenda del cardinale Wyszynski.
5. Il risultato sarebbe stato che, evitando in questo modo alla Polonia gli orrori di una persecuzione religiosa, Wyszynski ha conservato al suo popolo il dono inestimabile della fede.
Un risultato indubbiamente brillante. Tanto brillante che da esso si leva una leggenda. Quella di Wyszynski il cunctator, cioè il temporeggiatore, del quale si potrebbe dire, come del suo celebre analogo romano, Quinto Fabio Massimo, che «cunctando restituit rem». Anche Wyszynski, temporeggiando, avrebbe salvato la causa pubblica.
Le leggende creano un clima sfavorevole a un certo genere di analisi. Se il cardinale polacco è riuscito a difendere millimetro per millimetro la minuscola area di libertà che il comunismo ha lasciato alla Chiesa, ciò è dovuto al fatto di avere sempre disposto di strumenti efficaci. Nel caso concreto, questi strumenti si riducevano alla prospettiva di trasformare la Polonia in un braciere umano, come accadde alla Spagna cattolica al tempo della invasione della penisola da parte delle truppe rivoluzionarie e anticlericali di Bonaparte. E se tale prospettiva ha contenuto i sovietici nei dovuti limiti, è il caso di chiedersi se il cardinale-cunctator non avrebbe agito meglio se fosse stato un cardinale-crociato. In altri termini, se avesse scatenato sui piccoli proconsoli sovietici la tempesta di una opposizione religiosa come quella che aveva prostrato a terra lo stesso Napoleone.
A rigore di logica, questa domanda si impone. Ma contiene nel suo senso molte altre domande minori, per le quali il pubblico occidentale non ha assolutamente gli elementi per una risposta. Per esempio, era forse esaurito, nella nobile e gloriosa Polonia del dopoguerra, lo spirito combattivo, così vivo negli spagnoli? Un soprassalto di non rassegnazione epico e sacrale del popolo polacco avrebbe potuto contare sull’appoggio anglo-americano, analogo a quello che l’Inghilterra del secolo XIX (mossa da britannicissimi interessi, sia ben chiaro) diede agli spagnoli, inviando Wellington nella penisola? E così via.
Ogni leggenda è brillante, attraente, incantatrice. Ma anche aggressiva. Male ne incoglie a chi cerca di discutere con essa! Non sarò tanto temerario, in questa piccola parte di articolo che rimane. Non sono mosso dal desiderio di mettere in questione questa leggenda, di fronte alla semplice ipotesi che il cardinale-cunctator sia acclamato Papa.
Accanto alle leggende vive bene soltanto la speranza. Manifesto la mia. Ed è che, se Wyszynski il cunctator avesse a insediarsi sul sommo trono di san Pietro, moltiplichi la sagacia con la sagacia, il coraggio con il coraggio e la leggenda con la leggenda, e dia al mondo lo spettacolo abbagliante di trasformarsi in un nuovo Urbano II, il beato banditore della prima crociata.
Infatti, il coraggioso minimalismo, forse consigliabile per l’arcivescovo di Varsavia, non è, almeno in questo momento, altrettanto consigliabile per il successore di Pietro.
In realtà, i seicento milioni di cattolici che vivono nel mondo libero possono nutrire ben altre speranze che non quelle dei loro amati e gloriosi fratelli polacchi. Non si tratta, per i primi, di ottenere solamente un posticino al sole, semischiacciati dallo stivale sovietico. Ma, assolutamente al contrario, si tratta di evitare che questo stivale osi intraprendere lo stritolamento di quanto rimane di libero nel mondo. Un programma di apostolico ardire, un programma tutto fatto di ciò che Camões qualificava come «cristiani ardimenti» (4), ecco quanto spero – e con me tanti e tanti milioni di cattolici! – dal successore di Paolo VI.
Il cardinale-cunctator ci appare rutilante della gloria di leggendari e «cristiani ardimenti» nella difesa di un minimum. Quanto desideriamo che brilli sul trono di san Pietro con la stessa gloria dei «cristiani ardimenti», ma questa volta nella difesa del maximum! «Ad majorem Dei gloriam», «per la massima gloria di Dio», questa era la divisa di sant’Ignazio di Loyola.
Tantopiù che oggi il maximum può ancora essere ottenuto, forse senza l’effusione del sangue cristiano, del sangue che i crociati hanno versato così splendidamente e generosamente.
PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA
Note:
(1) Paolo VI, Allocuzione agli alunni del Pontificio Seminario Lombardo, del 7-12-1968, in Insegnamenti, vol. VI, p. 1188.
(2) IDEM, Allocuzione per il nono anniversario dell’incoronazione, del 29-6-1972, ibid., vol. X, p. 708.
(3) Mt. 16, 18.
(4) LUÍS DE CAMÕES, I Lusiadi, a cura di Silvio Pellegrini, 2ª ed. con introduzione riveduta e ampliata, UTET, Torino 1966, canto VII, strofa 14, p. 181.