Da Avvenire del 21/10/2020.
A Marzo, mentre Cina ed Europa si trovavano già in piena emergenza Covid– 19, era stato il premier Boris Johnson, con alle spalle il consigliere scientifico del governo del Regno Unito, Sir Patrick Vallance, a lanciare al mondo la sfida della noncuranza (l’aforisma britannico “Keep calm and carry on”: stiamo calmi e andiamo avanti), basata sull’idea di “immunità di gregge”. Per ottenere questa copertura da difesa immunitaria naturale, si sarebbe dovuto lasciar contagiare “liberamente” il 60% della popolazione. Quando, su 67 milioni di abitanti, almeno 40 fossero stati infettati dal coronavirus SARS-CoV2, l’immunità naturale conseguita da questi cittadini avrebbe sconfitto l’epidemia senza ricorso ad una vaccinazione di massa. E poco importa che – con un tasso di letalità di almeno il 2-3% – il Covid-19 avrebbe ucciso tra 800mila e 1,2 milioni di inglesi infettati, in larga maggioranza anziani o già affetti da altre malattie. Tutto questo nel tentativo di salvare l’economia e lo stile di vita della nazione. Spaventato dall’esplodere della pandemia nell’isola oppure meglio consigliato, Johnson (anche lui colpito dal Covid) ha successivamente cambiato politica sanitaria adottando provvedimenti di profilassi individuale e sociale simili a quelli degli altri Paesi europei. Ad oggi, nel Regno Unito si contano poco più di 43mila decessi legati al Covid-19: una bella differenza.
Le idee malsane, si sa, nascono facilmente ma sono dure da cancellare. E così, in questi giorni, il presidente Donald Trump sembra avere rispolverato la linea dell’immunità di gregge, abbandonando (fino a quando, considerata la volubilità del magnate?) la forte spinta verso le terapie e i vaccini anti-Covid-19. Lasciamo diffondere il coronavirus tra i giovani e i sani e occupiamoci solo di proteggere gli anziani e i malati, sembra essere il messaggio raccolto da un incontro organizzato dall’American Institute for Economic Research a Great Barrington che ha fatto breccia nella Casa Bianca. Una “protezione mirata” dei più vulnerabili a fronte di una “libertà di diffusione” tra i più robusti allo scopo di espandere progressivamente l’immunità naturale anti-Covid nella popolazione generale, secondo un’idea astratta di separatezza (inesistente nella vita quotidiana) tra queste due “classi” sociosanitarie di soggetti. Indirettamente, gli ha risposto il Direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ricordando che l’immunità di gregge «mai nella storia della sanità pubblica è stata usata come strategia per sconfiggere un’epidemia. Tanto meno per una pandemia. È [un piano] scientificamente ed eticamente problematico». L’ampio margine di incertezza sull’esito e il costo umano di sofferenza e di morte appaiono inaccettabili.
La scorsa settimana, un gruppo di scienziati è intervenuto sull’autorevole rivista medica The Lancet con una lettera in cui si afferma che è un punto «critico agire in modo deciso e con urgenza» per contrastare la ripresa della pandemia. «È necessario implementare estesamente delle misure efficaci che sopprimano e controllino la trasmissione» del virus – scrivono gli studiosi – le quali, però, «devono essere sostenute da programmi finanziari e sociali che incoraggino le risposte della comunità [a queste misure] e affrontino le disuguaglianze [tra gli abitanti] che sono state amplificate dalla pandemia». Un’osservazione che fa eco a quanto richiamato da papa Francesco: «Il virus, mentre non fa eccezioni tra le persone, ha trovato, nel suo cammino devastante, grandi disuguaglianze e discriminazioni. E le ha aumentate!». Contrastiamo un agente patogeno invisibile agli occhi, ma dobbiamo difenderci anche da «un grande virus, quello dell’ingiustizia sociale, della disuguaglianza di opportunità, della emarginazione e della mancanza di protezione dei più deboli […] Se il virus dovesse nuovamente intensificarsi in un mondo ingiusto per i poveri e i più vulnerabili, dobbiamo cambiare questo mondo» (Udienza generale, 19 agosto 2020).
Nella lettera si ricorda che, mentre l’approccio della immunità di gregge sarebbe «un pericoloso errore che non è sostenuto da una evidenza scientifica», quest’ultima «è molto chiara: controllare la diffusione del Covid-19 nelle comunità è il modo migliore di proteggere le nostre società e le nostre economie finché arriveranno terapie e vaccini sicuri ed efficaci». Il “non interventismo” verso la pandemia, nascosto dietro l’idea di favorire una incerta immunità di gregge contro il virus, dimentica che anche la sola «trasmissione incontrollata nei giovani mette a rischio significativo di morbilità e mortalità l’intera popolazione». Oltre a questo «costo in vite umane», vi sarebbe quello legato alla diminuita capacità lavorativa dei colpiti in forma lieve o grave da Covid-19 e ad una insostenibile pressione assistenziale che «travolge la capacità dei sistemi sanitari di fornire cure ordinarie e intensive». Non esistono neppure evidenze scientifiche sulla durata nel tempo di una immunità naturale e «la trasmissione endemica conseguente ad un’immunità evanescente costituirebbe un rischio permanente per le popolazioni vulnerabili».
Infine, gli scienziati mettono in guardia contro la prospettiva di un “Covid lungo”, perché lasciato sviluppare senza un adeguato controllo socio–sanitario. Il prolungamento delle misure di isolamento limitate alle fasce più vulnerabili della popolazione (come il confinamento degli anziani o l’isolamento degli ammalati a rischio Covid), a fronte di una tolleranza di comportamenti “pericolosi” per il contagio tra i giovani e i sani, «è praticamente impossibile e fortemente non etico». L’esperienza di diversi Paesi «mostra che non è realizzabile il confinamento di focolai incontrollati a particolari settori della società». Inoltre, «questo approccio rischia di esacerbare ulteriormente le diseguaglianze socio-economiche e le discriminazioni strutturali già messe a nudo dalla pandemia».
Gli sforzi per proteggere dal Covid i più vulnerabili «sono essenziali, ma devono andare di pari passo con strategie di ampio respiro a livello di tutta la popolazione» per contenere la trasmissione del virus. «Un piccolo virus continua a causare ferite profonde e smaschera le nostre vulnerabilità fisiche, sociali e spirituali. Ha messo a nudo la grande disuguaglianza che regna del mondo: disuguaglianza di opportunità, di beni, di accesso alla sanità, alla tecnologia, all’educazione», ha ricordato Francesco. «Per uscire dalla pandemia, dobbiamo trovare la cura non solamente per il coronavirus – che è importante! – ma anche per i grandi virus umani e socioeconomici. Non bisogna nasconderli, facendo una pennellata di vernice perché non si vedano» (Udienza generale, 30 settembre 2020). Per poterle curare, le ferite non vanno celate, ma scoperte. Il Covid-19 ci sta aiutando a scoprire le lesioni del tessuto di fraternità sociale e di giustizia civica che chiedono un supplemento di dedizione incondizionata, di amore al destino dell’altro come al nostro, che è identico: ultimamente non la sola salute, ma la salvezza della vita intera, nel tempo e per l’eternità.
Foto da articolo