di Antonio Casciano
Il 27 febbraio si è chiusa in Vaticano l’Assemblea plenaria della Pontificia Accademia per la Vita, nel 25° anniversario dalla fondazione, indetta sul tema Roboetica. Persone, Macchine, Salute.
Due giorni prima, nel messaggio di saluto ai partecipanti il Pontefice ha dapprima evidenziato il paradosso delle società odierne, strette nella morsa di una contraddizione che vede, da una lato la disponibilità piena delle «[…] capacità scientifiche e tecniche per ottenere un benessere equamente diffuso, secondo la consegna di Dio», dall’altro il dato triste ed inoppugnabile di «[…] un inasprimento dei conflitti e di una crescita delle disuguaglianze».
Oggi cioè, la tecnica è giunta a rappresentare una sfida etica in se stessa. Le implicazioni che prospetta rendono infatti le generazioni presenti e future schiave di un meccanismo che tende ad autoalimentarsi. Trasformando l’uomo da soggetto possessore degli strumenti della tecnica, a soggetto posseduto, questo meccanismo genera un «[…] sistema tecnocratico basato sul criterio dell’efficienza [che] non risponde ai più profondi interrogativi che l’uomo si pone». E se, «[…] da una parte non è possibile fare a meno delle sue risorse, dall’altra esso impone la sua logica a chi le usa».
Se tuttavia le molte applicazioni della tecnica hanno finora avuto per oggetto la materia inanimata, e dunque sembrava permanere netta la distinzione tra l’uomo come soggetto e la natura come oggetto, l’avvento della bio-tecnologia ha messo in crisi quest’articolazione. Qui è infatti l’uomo che diviene l’oggetto, non più solo potenziale, del proprio cantiere ingegneristico: così, «invece di consegnare alla vita umana gli strumenti che ne migliorano la cura», rileva il Santo Padre, «si corre il rischio di consegnare la vita alla logica dei dispositivi che ne decidono il valore».
Secondo Francesco, le evidenze più tristi di questo capovolgimento sono date proprio dalle conseguenze nefaste che la mentalità tecnocratica ha prodotto sull’uomo e sul suo ambiente di vita, secondo una concatenazione perversa di cause ed effetti che dal “paradigma tecnocratico”, applicato alla logica della massimizzazione del profitto, giunge alla spersonalizzazione dell’essere umano, e dunque al suo scarto, al degrado etico e morale diffuso, allo sfruttamento indiscriminato e generalizzato delle risorse ambientali. «Per questo», insiste il Pontefice, «la bioetica globale è un fronte importante su cui impegnarsi. Essa esprime la consapevolezza della profonda incidenza dei fattori ambientali e sociali sulla salute e sulla vita. È un’impostazione molto in sintonia con l’ecologia integrale, descritta e promossa nell’Enciclica Laudato si’».
L’impiego, poi, di espressioni come “intelligenza artificiale”, “bio-cibernetica” e “ingegneria genetica”, smette di essere neutro sul piano etico ed antropologico, giungendo a toccare la stessa “identità di genere” e compromettendo in via definitiva la possibile distinzione tra ciò che è spontaneamente dato dalla natura e ciò che è invece prodotto in laboratorio, al punto di mettere in discussione non il contenuto di questa o quella concezione della vita buona, ma il fondamento stesso che rende possibile la varietà delle visioni etiche del mondo. «A tale riguardo», nota il Papa, «conviene osservare che la denominazione di “intelligenza artificiale”, pur certamente di effetto, può rischiare di essere fuorviante. I termini occultano il fatto che – a dispetto dell’utile assolvimento di compiti servili (è il significato originario del termine “robot”) –, gli automatismi funzionali rimangono qualitativamente distanti dalle prerogative umane del sapere e dell’agire. E pertanto possono diventare socialmente pericolosi».
Risulta allora necessario ribadire l’essenziale “differenza qualitativa” che connota l’essere umano nell’economia della Creazione e la speciale “responsabilità tra le generazioni” che gli pertiene: «Il fenomeno umano», chiosa infatti il Pontefice, «eccede il risultato dell’assemblaggio calcolabile dei singoli elementi».
Dunque proprio la ritrovata complessità dell’interazione tra psiche, ambiente e corpo, se da un lato deve servire a scoraggiare ogni riduzionismo, dall’altro deve rimettere l’uomo di fronte alla sfida duplice del nostro tempo: una comprensione piena della “dimensione umana integrale” e la fondazione solida di “un’alleanza etica a favore della vita” che impone l’adesione a un progetto che ci faccia entrare «con saggezza e audacia nei processi della contemporaneità, in vista di una comprensione del patrimonio della fede all’altezza di una ragione degna dell’uomo».