Da Avvenire del 21/04/2021
La cartina della regione Mena (Medio Oriente e Nord Africa, ndr) pubblicata nel Rapporto la dice lunga: ad eccezione di due Paesi (Libano e Israele, comunque «sotto osservazione»), tutti gli altri sono in rosso o in arancione, per indicare le categorie di estrema persecuzione e di gravi casi di violazione. E, infatti, la situazione della libertà religiosa in questa vasta area geografica rimane allarmante nonostante i piccoli progressi registrati in alcuni Paesi.
L’Egitto è ancora sotto choc per l’ennesimo assassinio di un copto nel Sinai. Nonostante l’azione sia da addebitare ai terroristi del Daesh, che hanno diffuso domenica un video della barbara esecuzione, la comunità cristiana locale non si sente sufficientemente protetta dalle autorità. In questo mese, infatti, altri due «incidenti mortali» hanno turbato la vita dei copti, circa otto milioni di fedeli. Il primo a Bani Mazar, provincia di Minya, ai danni di una donna, Mariam Saad, e di suo figlio di sei anni, uccisi con la scimitarra; il secondo nella località di Tama, provincia di Sohag, che ha lasciato senza vita un altro copto, vittima di una «azione punitiva». «La tolleranza sociale verso i cristiani – si legge nel Rapporto – continua ad essere bassa e, come testimoniano numerosi incidenti nell’Alto Egitto, le violenze possono scoppiare in qualsiasi momento».
Un altro caso allarmante è la progressiva deriva islamica della Turchia, che ha sfidato i sentimenti dei cristiani decretando, lo scorso 24 luglio, la riconversione di Haghia Sofia in moschea dopo una parentesi di quasi un secolo in museo. Un fatto dal grande valore simbolico, utilizzato dal presidente Erdogan come arma di propaganda politica. Ankara ha poi emesso, il mese successivo, un nuovo decreto presidenziale che trasformava San Salvatore in Chora, già chiesa bizantina e diventata Museo Kariye dopo la Seconda guerra mondiale, in moschea. Molte questioni di vecchia data relativi ai siti religiosi, come l’impossibilità per la comunità greco-ortodossa di formare il proprio clero nel seminario di Halki, rimangono irrisolte. Diversi siti religiosi armeni, assiri e greco-ortodossi, inclusi numerosi cimiteri, hanno subito gravi danni o distruzioni, in alcuni casi a causa di negligenza, ma anche a causa di atti di vandalismo o progetti di costruzione approvati dallo Stato. In diversi casi nel 2019, siti religiosi e culturali armeni, assiri e greci, inclusi numerosi cimiteri, hanno subito gravi danni o distruzioni, in alcuni casi a causa di negligenza, ma anche a causa di atti di vandalismo o progetti di costruzione approvati dallo Stato. Anche i siti appartenenti alla comunità musulmana alevita nella provincia di Sivas hanno affrontato minacce simili dopo che il governo ha rilasciato permessi di bonifica delle aree circostanti. Piccola nota positiva: la partecipazione di Erdogan, nell’agosto 2019, alla cerimonia della fondazione di una chiesa siro-ortodossa a Istanbul, che è stata definita la prima chiesa di nuova costruzione della Repubblica turca.
I numerosi casi di apostasia dall’islam rimangono motivo di discriminazione, quando non mettono gli autori in pericolo di morte. In Iran, è noto il caso di tre cristiani convertiti dall’islam arrestati insieme al pastore Victor Bet Tamraz, della Chiesa pentecostale assira, accusato di «proselitismo». Tenuto in isolamento per 65 giorni, il pastore ha dovuto lasciare l’Iran con la moglie Shamiram Isavi solo lo scorso agosto dopo che erano stati informati che i loro appelli contro un totale di 15 anni di carcere erano stati respinti. I convertiti fanno paura anche da morti. Nel dicembre 2019, le autorità iraniane hanno distrutto la tomba dell’unico pastore cristiano condannato a morte per apostasia.