Un viaggio nel tempo della ristorazione
di Susanna Manzin, dal suo blog Pane & Focolare
Ci sediamo al ristorante, il cameriere ci porge il menu che compulsiamo con curiosità ed interesse: già sentiamo l’acquolina in bocca. Quante volte lo abbiamo fatto eppure non è sempre stato così, il mondo della tavola è molto cambiato. Innanzitutto un tempo non si mangiava mai fuori casa, se non per necessità. Non esisteva il concetto moderno di ristorazione, al servizio di chi ha voglia di mangiare qualcosa di gourmet oppure di chi viaggia per turismo o per lavoro e sfrutta l’occasione per provare nuove esperienze gastronomiche. Oggi l’offerta è ampia, si va dalla pizzeria al ristorante stellato, dal fast food al locale chic, dalla trattoria di cucina regionale a quella etnica.
Un tempo chi era costretto a viaggiare si fermava nelle locande poste lungo le grandi arterie del commercio o lungo le strade dei pellegrinaggi, ma l’offerta era semplice e a volte proprio scarsa; gli avventori si sedevano tutti insieme alle grandi tavolate e mangiavano quello che il locandiere metteva a disposizione. La gestione era familiare, generalmente c’era un piatto unico, uguale per tutti. Se c’era possibilità di scelta, il taverniere elencava ad alta voce i due o tre piatti che erano stati preparati e poi riferiva in cucina cosa era stato ordinato. Ancora oggi in certe trattorie alla buona si usa così.
I nobili banchettavano esclusivamente nei loro castelli, su tavole imbandite sfarzosamente, grazie a chef di grande maestria, mentre i contadini nelle cucine calde e fumose mettevano in tavola quello che la Provvidenza e la fatica del lavoro permetteva loro di mangiare, in genere un piatto unico, una zuppa calda con pane, verdure, legumi, se si era fortunati anche un poco di carne di pollo o selvaggina cacciata nei boschi. Un pasto semplice ma sostanzioso e sano.
Alla tavola del re e dell’aristocratico le pietanze erano molte e il servizio per secoli è stato quello cosiddetto alla francese: i commensali prendevano il cibo dai grandi vassoi messi al centro del tavolo. Si cominciava con i molti antipasti, a seguire vari tipi di carni lessate o arrostite, accompagnate dalle verdure; e poi il dessert, frutta e dolci. L’effetto era quello di un gigantesco buffet dal quale si poteva attingere liberamente, stando comodamente seduti a tavola al proprio posto.
Nell’Ottocento nelle tavole eleganti si passerà dal servizio alla francese a quello alla russa, così chiamato perché era quello utilizzato dall’ambasciatore russo a Parigi: i camerieri arrivavano con i loro grandi vassoi e servivano prima le signore e poi i signori, in una successione di portate che normalmente prevedeva un antipasto, un primo, uno o due secondi e il dessert. Oppure i commensali ricevevano la pietanza già collocata con elegante mise en place nel proprio piatto. In pratica, come facciamo ancora oggi.
Nei servizi alla francese non è necessario informare preventivamente l’ospite del menu: tutto è collocato sulla tavola e l’ospite si serve di quello che vuole. Quando il servizio è alla russa, nelle cene più formali è buona cosa informare in anticipo il commensale di cosa lo aspetta: fanno quindi la loro comparsa i cartoncini sui quali l’ospite può leggere quello che sarà il susseguirsi delle vivande.
Il menu scritto diventerà assolutamente necessario nei ristoranti, dove l’avventore può leggere l’offerta della cucina e scegliere quello che più desidera. Si, perché dopo la Rivoluzione francese gli chef che erano al servizio dell’aristocrazia restano disoccupati ma non si perdono d’animo e decidono di aprire dei ristoranti, dove garantiscono cucine regali a chiunque vorrà provare la loro arte culinaria. I locali sono eleganti e confortevoli, ci sono tanti tavoli dove ogni famiglia o gruppo di amici può pranzare in intimità senza mescolarsi con gli altri avventori; le tovaglie sono raffinate, così come i piatti di porcellana e i bicchieri di cristallo. Lo chef scrive nel menu le sue proposte di antipasti, primi, secondi e dessert, specificandone il costo. I grandi cambiamenti sociali incentivano anche le trattorie, soprattutto quelle cittadine, a dare a loro volta un servizio di qualità e un’offerta più varia, per venire incontro alle nuove esigenze di un mondo che cambia.
Comincia così la storia della ristorazione moderna e il menu stampato diventa una prassi acquisita: semplice cartoncino o vero e proprio album di lenta e accurata consultazione, il menu per il ristoratore è il primo contatto con l’avventore e si apprezza chi lo realizza con bellezza ed eleganza, con cura ed estro da un punto di vista grafico, con decorazioni, stemmi, immagini. Ho visto ristoranti di alta classe dove, quando al tavolo c’è una coppia, alla signora viene consegnato un menu senza i prezzi. Qualcuno lo considera politicamente scorretto? Secondo me è molto elegante. Sono simpatiche anche le lavagne che vengono utilizzate nelle trattorie: le ho viste sia in quelle davvero rustiche sia in quelle che, pur avendo un’offerta enogastronomica di alto livello, vogliono mettere a suo agio il cliente con questo approccio sbarazzino.
La nascita di questi menu scritti significa anche dare un nome ben preciso ad ogni piatto e questo fa volare la fantasia degli chef più creativi, che a volte danno nomi altisonanti alle loro creazioni. Diventa una moda dare al piatto il nome di personaggi famosi, come la Pesca Melba, dolce creato da Escoffier nel 1893 per la celebre cantante wagneriana Nellie Melba; pensiamo al filetto alla Chateaubriand, al Carpaccio creato da Cipriani dell’Harry’s Bar di Venezia, chiamato così perché gli ricordava i colori utilizzati dal pittore. La cucina è anche comunicazione, suggestione, cultura. Ma non bisogna esagerare, perché se il piatto è famoso il cliente non ha bisogno di spiegazioni ma a volte bisogna interrogare il cameriere per capire in cosa consiste quella creazione culinaria. Ma in fondo, non è quello che succede anche nelle nostre famiglie? Dove diamo ad un piatto il nome della nonna, della zia o della mamma che lo realizzavano.
Vi confesso che anch’io per divertirmi un po’ nelle cene a casa mia a volte metto a disposizione degli ospiti un menu che descrive le portate, e mi sbizzarrisco ad inserire immagini o frasi evocative: gli ospiti, mentre sorseggiano l’aperitivo, si divertono a leggere in anteprima cosa verrà servito nel corso della serata. Piccoli vezzi che però rendono simpatica e curata la nostra tavola.
Menu à la carte, menu degustazione, buffet di un happy hour, piatto unico, ristorante all you can eat … oggi l’offerta dei locali è davvero ampia e ce n’è per tutti i gusti, sia per chi vuole una cena formale e romantica, sia per un pasto da condividere in allegria con gli amici, senza troppe formalità. L’importante è, come è sempre stato, cogliere l’occasione della tavola per un momento conviviale, per stare insieme ai nostri familiari o agli amici più cari, per stringere relazioni ed entrare più in intimità con il nostro prossimo.
C’è anche chi fa come John Montagu IV conte di Sandwich, vissuto nel XVIII secolo, che per non perdere tempo chiedeva al proprio maggiordomo di mettergli il roast-beef in mezzo a due fette di pane, così da poter consumare un pasto veloce, continuando a lavorare al tavolo del suo studio senza spostarsi nella sala da pranzo. Oggi c’è chi lo imita, davanti alla TV o al pc. Triste parabola della cultura della tavola. Ma noi resisteremo! Servizio alla francese o alla russa, pranzo formale o schietto, continueremo a tenere alta la bandiera della gastronomia e della convivialità in bella compagnia.
Sabato, 29 ottobre 2022