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Cosa succede in Regione Lombardia?

21 Dicembre 2018 - Autore: Marco Invernizzi

di Marco Invernizzi

La domanda nasce spontanea, dopo alcuni fatti che vale la pena riassumere sinteticamente.

Il 31 luglio, su proposta del Partito Democratico, ma votata all’unanimità dal Consiglio regionale lombardo, retto da una maggioranza di Centrodestra, è passata la delibera che impegna la Giunta, guidata da Attilio Fontana, a dare ai minori di 24 anni la possibilità di ricevere, nei consultori pubblici e privati accreditati, consulenza gratuita e il metodo contraccettivo individuato come il più idoneo.

Il 17 dicembre, la stessa Giunta della Regione Lombardia ha deciso di rendere possibile la somministrazione del composto abortivo RU486 in regime di Day Hospital, quindi senza la necessità del ricovero, andando così nella direzione di una ulteriore privatizzazione e banalizzazione dell’aborto, che per di più mette anche a repentaglio la vita della madre.

Infine, il 19 dicembre, Affari italiani.it pubblica la notizia che la Giunta della Lombardia, su «[…] su proposta del consigliere Michele Usuelli del Gruppo +Europa con Emma Bonino, si è impegnata a stanziare un milione di euro da destinare a UNFPA, l’agenzia delle Nazioni Unite sulla popolazione, al fine di promuovere interventi di family planning, in particolare la distribuzione di contraccettivi a lunga durata» per la popolazione dell’Africa.

Tre atti di questo tipo non sono una svista, un’eccezione o un incidente di percorso. Come vanno interpretati, dunque?

La Regione Lombardia non è una regione italiana qualsiasi. Non solo rappresenta il motore imprenditoriale, produttivo ed economico del nostro Paese, ma anche un motore di una qualità specifica, il motore che, dal 1995, viene guidato da giunte di Centrodestra, prima con Roberto Formigoni governatore fino al 2013 e poi con Roberto Maroni governatore per cinque anni, il quale nel 2018 viene sostituito da Attilio Fontana, gli ultimi due esponenti della Lega Nord oggi ribattezzata semplicemente Lega. Per 23 anni, non solo la Lombardia è stata un modello di gestione amministrativa e politica che ha sempre incontrato la conferma elettorale della maggioranza dei votanti lombardi, ma anche ha sempre difeso i princìpi fondamentali della vita pubblica di un Paese: vita, famiglia e libertà di educazione. Certo, forse avrebbe potuto fare di più e di meglio per la difesa e la promozione di questi princìpi, eppure non ha mai fatto nulla per contrastarli. Il mondo pro-life e pro-family non ha del resto mai avuto dubbi su chi scegliere al momento delle elezioni regionali. Si ricordi, per esempio, il grande entusiasmo che la Regione Lombardia coagulò attorno a sé il 17 gennaio 2015, quando promosse un importante convegno per affermare che la famiglia è solo quella fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna; o quando il 22 gennaio 2016 accese sul “Pirellone”, l’edificio di Milano dove ha sede il Consiglio regionale della Lombardia, utilizzando le luci visibili anche dall’esterno degli uffici del palazzo, la scritta «Family Day» in occasione della grande manifestazione romana a favore della famiglia naturale, organizzata dal Comitato Difendiamo i Nostri Figli, alla quale essa stessa partecipò ufficialmente con il proprio gonfalone.

Oggi si ha invece l’impressione che la Regione Lombardia abbia imboccato un’altra strada. Lo scrivo con dispiacere da reggente nazionale di Alleanza Cattolica sostenitore del “modello lombardo” senza mai chiedere nulla in cambio e privo di qualsiasi altra opzione politica. Ma tacere non sarebbe giusto.

Forse la tentazione dei dirigenti del Centrodestra, e soprattutto della Lega, può essere la scelta del quieto vivere, dell’accontentarsi di una buona amministrazione, ritenendo che alla maggioranza dei lombardi basti soltanto questo.

Se anche fosse, a noi non può invece bastare. Non chiediamo certo la Luna, non vogliamo trasformare una Regione amministrativa in una congregazione missionaria e sappiamo che cosa significhi combattere contro l’ideologia del politicamente corretto, quindi contro i tanti poteri forti che condizionano anche le migliori intenzioni delle forze politiche. Ma sappiamo anche che una politica senza ideali, senza una cultura di riferimento che aiuti a guardare oltre le scadenze elettorali, una politica che non si accontenti della buona amministrazione anche se la persegue tutti i giorni, una politica senza un progetto culturale che nasca dall’amore per il bene comune non potrà andare lontano. Soprattutto non saprà resistere agli sbalzi emotivi dell’elettorato perché non avrà saputo costruire un consenso basato sui valori oltre che sugli interessi.

Venerdi, 21 dicembre 2018

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