Di Stefano Zurlo da il Giornale del 17/04/2019. Foto da articolo
In ginocchio. Come devoti medioevali riemersi dalle catacombe dell’Illuminismo. Magari muovono solo le labbra, come le vecchiette nelle loro giaculatorie, ma sono i nipotini dei rivoluzionari che profanarono Notre-Dame.
Ora innalzano le loro invocazioni fino al cielo, lo stesso che avevano provato ad eliminare dall’orizzonte. Sorpresa: il grande rogo ha incenerito la chiesa, ma ha riacceso la fede. È un paradosso che si dispiega in una giornata funerea per le certezze dei francesi. E però le immagini che arrivano da Parigi ci mostrano i giovani e i vecchi che pregano come non si era mai visto. Cantano. Scandiscono le formule sacre che forse non ricordavano nemmeno più. Versano lacrime di commozione, ma forse anche di nostalgia: quel mondo era già relegato ai margini della società, ma ora, forse, vederlo svanire per sempre suscita sensazioni e pensieri mai provati. Rimpianto che si fa curiosità, perché la tradizione è ignota ai più.
Non è un ritorno all’antico, all’Ancien Régime, ma è una riscoperta dell’innocenza perduta, di un Paese che esisteva ormai solo nelle cartoline e invece è ancora capace di toccare le corde del cuore. Sarà un’emozione che scomparirà fra qualche giorno, come una bolla. O forse no: siamo all’inizio di un percorso nuovo nella terra senza punti di riferimento che sta oltre la modernità. Le mani giunte e persino le corone del rosario. Come se Parigi fosse un po’ Lourdes e i parigini scettici parenti stretti dei pellegrini che si accalcano mendicanti nei luoghi di Bernadette.
Solo che qui non è apparsa la Madonna, ma semmai la fragilità del nostro tempo, benedetto nel fonte battesimale del relativismo, dello scetticismo, del libertinismo. È non è nemmeno un vago sentimento religioso quello che affiora in queste ore di sgomento: non si tratta di darsi la mano, come a esorcizzare il maligno che avanza, ma semmai di invocare il Destino, estraneo da secoli, come un ospite sgradito. Non una marcia di solidarietà o un corteo laico, ma qualcosa di inedito. La Francia, in cui le chiese chiudono come cinema ormai deserti, o si trasformano in moschee o diventano altro ancora, si stringe intorno alla chiesa più famosa. Un fenomeno forse transitorio, ma che spiazza perché il protagonista di questa metamorfosi è il popolo che, a queste latitudin, era confinato negli album ingialliti del passato.
Colpisce, poi, che tutto questo avvenga all’inizio della Settimana santa, allineando anche il calendario di una nazione orgogliosa della propria storia a quello della liturgia. Alla Passione di Nostro Signore che, a milioni di francesi, come del resto a tanti europei imbevuti nello stesso spirito, non interessa più e sembra solo una favola fuori dal tempo e dallo spazio della realtà.
Le fiamme alte di Notre-Dame, come quelle di un affresco del Duecento, risvegliano coscienze assopite che sono e, probabilmente, resteranno lontane dai riti canonici della Chiesa. Ma non importa, non è questo il punto decisivo: l’importante è che la chiesa sia andata per una notte oltre le sue mura devastate, che abbia ritrovato la piazza che non le apparteneva più e che il cielo sia sceso ancora in mezzo alla gente.
Succede tutti i giorni, ma non se ne accorgeva più nessuno. Ora gli occhi e il cuore di molti, atei o miscredenti non fa differenza, sono rivolti lassù. A cercare conforto e una risposta alle grandi domande di sempre. Le stesse che albergano in ciascuno di noi e che nessuna Rivoluzione può estirpare.