di Giulio Meotti da Il Foglio del 17/01/2021
Intervista al grande orientalista francese di origine siriana Joseph Yacoub, fra i massimi specialisti al mondo delle minoranze cristiane.
Quando cinque anni fa l’Isis ha rapito in massa centinaia di cristiani assiri ad Hassaké, il professor Joseph Yacoub ha subìto un doppio trauma. Personale, perché viene da Hassaké, una cittadina cristiana della Siria. E perché è un assiro. Come i cristiani condannati al genocidio dai turchi nel 1915 assieme agli armeni, su cui Yacoub ha scritto molti libri. Passato e presente si intrecciano, incessantemente, nelle parole di questo famoso docente all’Università cattolica di Lione, primo titolare della cattedra Unesco “Memoria, culture e interculturalità” e fra i massimi specialisti al mondo delle minoranze cristiane. Quando le forze azere e turche hanno conquistato i territori del Karabakh armeno, evangelizzato da Bartolomeo e Taddeo, due dei dodici apostoli, Yacoub si è sentito in dovere di scrivere sul Figaro: “C’è stato un tempo in cui c’erano comunità cristiane in questo paese. Quel tempo è finito”.
All’inizio del XX secolo, i cristiani a Istanbul erano ancora stimati al venti per cento. Oggi sono centomila, meno dello 0,2 per cento su una popolazione di 82 milioni. “Il Nagorno-Karabakh era annesso all’Azerbaigian già nel 1919, contrariamente ai desideri della sua popolazione”, racconta Yacoub al Foglio. “Gli armeni rappresentavano il 90 per cento della sua popolazione. Il 15 maggio 1919, Avédis Aharonian, presidente della delegazione della Repubblica armena alla Conferenza di pace a Parigi, si rivolse ai delegati di Francia, Inghilterra, Italia e Stati Uniti, chiedendo di essere ascoltato sulle sorti del popolo armeno e sui confini del suo territorio e considerava il Karabakh come ‘un baluardo naturale per la difesa dell’Armenia dalle invasioni turaniche’. Cosa è cambiato tra il 1919 e il 2020: da un lato le legittime ambizioni dei popoli armeni che stanno vivendo una tragedia, dall’altro il desiderio di dominio ed espansione delle grandi potenze”. Yacoub dice che non abbiamo compreso quanto è successo la scorsa estate a Santa Sofia, la grande basilica cristiana museo per cento anni e riportata all’islam da Recep Tayip Erdogan. “Tutti sono d’accordo nel denunciare le ambizioni imperiali della Turchia e il suo desiderio di espansione. Il momento clou è stata la conversione della Basilica di Santa Sofia, questo meraviglioso simbolo architettonico e religioso del cristianesimo bizantino. Con questo gesto, il presidente turco ha voluto operare una rottura, dando una versione della storia parziale e partigiana della Turchia, centrata esclusivamente sulla storia turco-ottomanoa, come se il paese sia nato improvvisamente nel 1453, e dà così libero sfogo al suo islamo-panturkismo. Agendo in questo modo, Erdogan cerca di avere i favori del mondo di lingua turca e musulmana, e di far dimenticare, per non dire demolire, la memoria storica così ricca in tanti strati di civiltà del suo paese, dove il cristianesimo ha svolto un ruolo incomparabile e importante sia come fede sia come civiltà”.
L’Europa è passiva di fronte all’espansionismo turco. “Va detto che le linee principali della politica europea sono state tracciate in un momento in cui questo continente viveva in pace. L’enfasi era sullo stato democratico e sui diritti umani, come standard e punto di riferimento. Ma così facendo, abbiamo trascurato la geografia, la storia, le lingue, le culture, le tradizioni e le mentalità, così tanti vincoli richiesti per comprendere la realtà. Almeno questo si è rivelato incompleto. Perché non è detto che l’Altro ragioni allo stesso modo. Spesso i valori individuali sono oscurati dai valori collettivi e nazionali. Abbiamo bisogno di ricordare che il nostro mondo è fatto di nazioni e stati sovrani, anche se ciò significa lavorare a stretto contatto, come fa l’Europa, e giustamente. Inoltre, non è stato dimostrato che i diritti umani da soli possano trasformare gli uomini ignorando le variabili indicate. I diritti umani sono un vantaggio, certamente importante, ma non di più. L’uomo è un essere storico, determinato dalle condizioni sociali ed economiche e non astratto. Da qui il disagio provato e le esitazioni che regnano in Europa, perché manca la riflessione antropologica e storica e di fissare una strategia e prospettive che la proiettino oltre l’immediato, nel futuro e a lungo termine, affermando le proprie radici. Forse il calvario del Covid la muoverà in questa direzione”. Secondo Yacoub non conosciamo abbastanza la storia del cristianesimo orientale. “I santi Pietro e Paolo intronizzati in Vaticano sono orientali. Se prendiamo l’esempio della Turchia e della Siria, osserviamo che l’Antico Impero Romano d’Oriente vi prosperò per più di mille anni. In questo contesto, è bene ricordare che la chiesa è di origine apostolica e ha svolto un ruolo di primo piano nella propagazione del messaggio. Gli Atti degli Apostoli attestano fin dall’inizio la cristianizzazione di questi paesi. Vengono citati gli abitanti della Cappadocia, del Ponto, della Frigia e della Panfilia, tutti testimoni della Pentecoste. Inoltre, il popolo di Bitinia, Galazia e Asia sono tra i destinatari della prima lettera di San Pietro, e una delle lettere di San Paolo è indirizzata ai Galati, la regione di Ancyra, ora Ankara, che aveva visitato ed evangelizzato. Antiochia (Antakia) sull’Oronte è famosa come città culturale imperiale. Dopo Pietro, sant’Ignazio di Antiochia, discepolo dell’evangelista Giovanni, fu il secondo vescovo di questa città.
Ernest Renan, specialista in lingue e culture semitiche e storia delle religioni, ha scritto: ‘Certamente Gerusalemme rimarrà per sempre la capitale religiosa del mondo. Tuttavia, il punto di partenza della Chiesa dei Gentili, il fulcro principale delle missioni cristiane, era veramente Antiochia’. Questi paesi furono anche la terra dei primi concili dal 325 (Nicea, Costantinopoli, Efeso, Calcedonia e altri), delle prime controversie ed eresie cristologiche e trinitarie, del monachesimo, arianesimo, nestorianesimo, giacobitismo, i primi teologi (Diodoro di Tarso, Teodoro di Mopsuestia, Giovanni Crisostomo, Basilio di Cesarea, Teodoreto di Cirro) e i Padri Cappadoci (Gregorio di Nissa)”. Su questi cristiani pesa una grande ipoteca. “Forti minacce, l’islam politico e l’islamismo radicale sono una delle cause. L’islamismo radicale è una nuova forma di totalitarismo che minaccia le società. Nel mio libro ‘Une diversité menacée. Les chrétiens d’Orient face au nationalisme arabe et à l’islamisme’ (Ed. Salvator, Parigi), ho mostrato come la loro devastazione sia stata mostruosa contro i cristiani di Iraq e Siria, e anche contro altre minoranze come gli yazidi. Va ricordato che un paese come l’Iraq ha svuotato, sotto costrizione e repressione, la sua popolazione ebraica dopo la creazione di Israele nel 1948. Ora è il turno dei cristiani? C’è una chiara tendenza al ribasso ovunque, ma secondo me non se ne andranno”.
Sarebbe una catastrofe. “Il cristianesimo orientale non appartiene solo all’oriente, ma all’umanità”, dice Yacoub. “E’ l’altro polmone del cristianesimo che gli permette di respirare. La sua fine rappresenterebbe la perdita di una parte dell’umanità”. Papa Francesco lo ha riconosciuto. “E’ stato il primo Papa a riconoscere, in un’omelia a Roma il 12 aprile 2015, il genocidio che nel 1915 colpì armeni, siriani, cattolici e ortodossi, assiri e caldei. Parlando della Mesopotamia, ad esempio, Francesco ha dichiarato nel 2017: ‘Fin dall’antichità questa terra, evangelizzata secondo la tradizione dell’apostolo San Tommaso, è apparsa al mondo come terra di civiltà, terra di incontro e dialogo’”. E’ l’Europa politica semmai a mostrarsi indifferente. “All’indomani della Conferenza di pace di Parigi nel 1919, i cristiani assiro-caldei furono delusi dal risultato. E questo è ciò che scrisse amaramente Gorek de Kerboran nel 1920: ‘Cosa chiediamo? – Un Assiro-Caldeo! – E stai aspettando che le potenze europee te lo donino, per venire a stabilirti sul trono di Shalmanassar e dell’Ashurnasirpal! Tu rivendichi ciò che i poteri desiderano; rivendichi pianure alluvionali, rivendichi i bacini del Tigri e dell’Alto Eufrate, rivendichi le pendici di montagne ricche di petrolio; e credi che le potenze europee si adatteranno per arricchirti! Non contarci, credimi; stiamo sprecando il nostro tempo. Mentre procrastiniamo, tutto funziona contro di noi: tempo, poteri, vicini’. Da allora, ci chiediamo cosa sia veramente cambiato”. Un certo laicismo ci ha reso ciechi. “La secolarizzazione è indispensabile per il progresso sociale e umano, ma facendo attenzione a non svuotare la sostanza spirituale, come talvolta accade. L’uomo è fatto di materia, di mente e di cose inesplicabili. Ci sono ‘insegnamenti spirituali che vanno oltre la ragione umana, purché li seguiamo adeguandoci alle virtù teologali, fede, speranza e carità’, scrive Dante. Alla luce della storia, dobbiamo tenere presente che l’Europa ha radici giudaico-cristiane e greco-romane che hanno strutturato lo spirito europeo e plasmato la sua cultura e identità. La Bibbia è tuttora una delle principali fonti di ispirazione. Il giudaismo è un’eredità essenziale. Il cristianesimo è una fede, una cultura e una civiltà. Si può ammettere il suo contributo, senza essere necessariamente religiosi. Che tu sia un credente, un agnostico o un ateo, questo è un fatto sociale, che si impone anche solo guardandolo. Naturalmente, questo non esclude altre fonti, come l’Illuminismo nella sua infinita diversità, a cui il Rinascimento italiano ha contribuito molto. Inoltre, questa è un’opportunità da cogliere. Da questa diversità, l’intelletto umano ci insegna che il mondo è fatto di volti, nomi e paesi”.
Eccoli quei nomi… Assiri, Caldei, Siriaci, Nestoriani, Giacobiti, Aramei, Assiro-Caldei… Resta poco di ciascuna di queste antiche comunità. “Il loro numero sta diminuendo sempre di più, ma non senza lasciare tracce. Tutto evoca la loro eredità. Ecco un esempio: l’Iran. In questo paese, la cristianità ha duemila anni dall’apostolo Tommaso. I cristiani hanno molto partecipato alla civiltà di questo paese e hanno donato studiosi e martiri. Dal 1840 ci fu una rinascita culturale e linguistica della lingua aramaica, che vide una profusione di opere, soprattutto nel nord della Persia. Tra di loro c’è lo studioso assiro-caldeo Thomas Audo (1854-1918). Inoltre, c’è il lavoro dei missionari, in particolare dei Vincenziani e delle Figlie della Carità. Tra loro, mons. Jacques-Emile Sontag (1869-1918) si distinse per la sua dedizione, fino al martirio del 31 luglio 1918”.
I siriaci sono stati la prima nazione orientale a studiare e commentare ampiamente il pensiero greco. “Qui ci troviamo di fronte a un patrimonio denso e multiplo, la cui letteratura inizia nei primi secoli. Le scuole e le accademie aramaico-siriache risalgono al V secolo, quando iniziò la traduzione del pensiero greco, che sarebbe poi stato trasmesso agli arabi. Sette secoli prima dell’islam, questo medio oriente siriaco aveva dato il suo pieno potenziale in molte aree della conoscenza religiosa e laica. Inoltre, la sua lingua e cultura hanno avuto un impatto significativo sulla lingua e cultura araba, poco sottolineata. A tal proposito, vorrei informare i vostri lettori che l’Italia ha messo a disposizione grandi specialisti della lingua e della cultura siriaca. Tra questi possiamo citare l’orientalista Ignazio Guidi (1844-1935) che fu professore all’Università La Sapienza, specialista in lingue semitiche. Allo stesso modo, il Pontificio Istituto Orientale e la sua ricchissima biblioteca vi contribuiscono dal 1917. Basta leggere il ‘Dizionario Enciclopedico dell’Oriente Cristiano’, da loro prodotto. Un altro elemento merita di essere sottolineato; tra gli intellettuali delle varie chiese siriache, alcuni hanno pubblicato in latino e in italiano, che talvolta parlano correntemente”.
Alla mannaia islamista rischia di associarsi una certa globalizzazione nel potare il patrimonio cristiano orientale. “La globalizzazione è sempre esistita. Gli esseri umani sono sempre emigrati e le civiltà si sono reciprocamente inoculate, mutuandosi le une dalle altre. Ed è una buona cosa. E’ la legge dell’evoluzione storica. Per più di duemila anni, pur essendo tutta romana, Roma era una città cosmopolita, al centro del mondo, tanto da suscitare reazioni controverse, proprio sulla presenza di tanti orientali! Ciò spinse il poeta satirico Giovenale a criticare questi flussi migratori con queste parole: ‘Iam pridem Syrus in Tiberim defluxit Orontes’. Ormai da tempo l’Oronte di Siria sfocia nel Tevere e con sè rovescia idiomi, costumi, flautisti, arpe oblique, tamburelli esotici e le sue ragazze costrette a battere nel circo. Oggi la globalizzazione ha un lato inquietante, pieno di confusione, che pone forti minacce alle culture minoritarie”. La stessa parola “cristiano” fu usata per la prima volta nella turca Antiochia e fu nella turca Nicea che venne formulato il “Credo” che si ripete ogni domenica a messa; a Nisibi, la turca Nusaybin, c’era la più antica università del mondo, e furono quei cristiani i primi a tradurre e a commentare il pensiero greco, trasmettendoci Aristotele, Platone, Galeno e Pitagora. Se vengono tolte queste radici al grande albero della cristianità, il resto dell’albero si secca e prima o poi muore.
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