Di Silvina Premat da AsiaNews del 07/05/2021
La gestione della pandemia e la necessità di procurarsi vaccini contro il Covid-19 ha messo il Paraguay di fronte alla scelta se rompere la sua alleanza con Taiwan e rafforzare i legami con la Cina. Dei 15 Stati che riconoscono lo status sovrano di Taipei, il Paraguay è l’unico in Sudamerica, la regione che il presidente cinese Xi Jinping ha privilegiato per le vendite e le donazioni di vaccini prodotti dai laboratori del suo Paese.
Il presidente paraguaiano Mario Abdo Benítez ha detto che Asunción può comprare vaccini “da chiunque”, ma non accetterà ricatti da nessuno. Egli si riferisce a ciò che i cinesi negano in modo categorico: aver offerto dei vaccini al governo paraguayano in cambio della rottura delle relazioni diplomatiche con Taiwan. Per la Cina comunista l’isola è una provincia “ribelle”, da riunificare anche con la forza se necessario.
Sebbene circa 20mila km separino Taiwan dal Paraguay, i due popoli sono uniti da forti legami politici e culturali. Dal 1957 Taipei ha finanziato la costruzione di migliaia di alloggi sociali e di alcuni edifici pubblici, come il palazzo del Parlamento ad Asunción. Le autorità taiwanesi hanno concesso anche numerose borse di studio e sovvenzioni per aiutare giovani e professionisti paraguayani a viaggiare nell’isola.
In base ai dati del governo di Taipei, circa 4mila taiwanesi vivono in Paraguay: essi gestiscono investimenti per più di 100 milioni di dollari. Secondo i ricercatori Francisco Urdinez, della Pontificia università cattolica del Cile, e Tom Long, dell’Università di Warwick nel Regno Unito, dal 2000 il Paraguay ha ricevuto ogni cinque anni una donazione da Taiwan di 70 milioni di dollari, cifra che è raddoppiata nel 2019.
In un lavoro accademico pubblicato da Foreign Policy Analysis, i due ricercatori fanno notare però che questo importo è inferiore a quello che il Paraguay avrebbe potuto guadagnare se avesse avuto rapporti commerciali pieni con la Cina: si tratta del “costo Taiwan”. Urdinez e Long hanno calcolato che Asunción perde circa 350 milioni di dollari all’anno per non avere legami diplomatici con Pechino, ma con Taipei. A questo si aggiungono le difficoltà di accesso ai vaccini cinesi contro il coronavirus.
Anche se gli esportatori paraguayani riescono a far arrivare i loro prodotti in Cina attraverso triangolazioni commerciali con Argentina, Uruguay o alcuni Paesi asiatici, il risultato non è quello che si potrebbe avere grazie a rapporti diretti con Pechino. I numeri che tutti guardano in Paraguay sono quelli dei saldi commerciali: tra il 2016 e il 2020 Asunción ha registrato un surplus di 129,8 milioni di dollari con Taiwan e un deficit di 16,3 miliardi di dollari con la Cina.
La domanda è perché allora il Paraguay è ancora fedele a Taiwan. “Perché ci sono legami culturali, anche sentimentali tra i due popoli, e anche perché i politici ricevono fondi che possono usare a loro discrezione, senza rendere conto a nessuno”, ha commentato Urdinez ad AsiaNews. Egli ha aggiunto che i problemi nell’ottenere i vaccini hanno catapultato la questione delle relazioni con Taiwan nel dibattito politico interno.
L’esperto prevede che Asunción non romperà le relazioni con Taiwan, almeno finché sarà governato dal partito Colorado, a cui appartiene il presidente Benitez, con un mandato fino al 2023. Urdinez spiega anche che “molti diplomatici legati al partito al potere vedono la Cina come una sorta di ‘boia’ comunista”. Nella loro ottica, sostiene l’accademico, riconoscendo Pechino il Paraguay diventerebbe solo uno dei tanti Paesi che si allineano per ottenere benefici economici. Al contrario essi vedono Taiwan come un alleato strategico, e sanno che “se alzano il telefono, i taiwanesi sono sempre pronti ad ascoltarli”.
Il tema è discusso anche nella società civile paraguayana, dice Urdinez: “Ad esempio la lobby dei produttori di soia e quella degli allevatori accolgono con favore il cambio di riconoscimento da Taiwan alla Cina, perché ciò aprirebbe in modo ulteriore il mercato cinese per i loro prodotti”. Secondo il ricercatore, il passaggio diplomatico sarà “inevitabile” con il prossimo governo.
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