Nel consueto discorso alla curia per gli auguri natalizi, Papa Francesco riflette sulla crisi che investe il mondo e la stessa Chiesa. La crisi non è un conflitto e se ne può uscire migliori, come accaduto a molti santi e agli stessi popoli.
di Marco Invernizzi
Un discorso all’insegna della speranza quello del Papa rivolto alla curia romana il 21 dicembre, nel giorno più buio dell’anno, quello d’inizio inverno, ma anche quello in cui le giornate cominciano ad allungarsi, in cui la speranza di una nuova primavera comincia a prendere corpo.
In questa prospettiva, Papa Francesco comincia il suo intervento ricordando le parole di Hannah Arendt (1906-1975) che, nel suo testo Vita activa. La condizione umana, di fronte alle rovine del Novecento, ricorda come c’è sempre la speranza, quella incarnata nella «“lieta novella” dell’avvento: “Un bambino è nato fra noi”» e in generale nel miracolo della natalità che «preserva il mondo».
La speranza oggi nasce dalla crisi. Una crisi “universale” e “dominante”, apparentemente invincibile, aggravata dalla pandemia. Il Pontefice si sofferma a lungo nell’analisi di questa crisi, per sostenere che per uscire da essa bisogna accettarne la sfida, senza dimenticare che «Dio continua a far crescere i semi del suo Regno in mezzo a noi».
Accettare la sfida: «La crisi è un fenomeno che investe tutti e tutto. È presente ovunque e in ogni periodo della storia, coinvolge le ideologie, la politica, l’economia, la tecnica, l’ecologia, la religione. Si tratta di una tappa obbligata della storia personale e della storia sociale».
Nella storia, dalle crisi nacque una nuova civiltà. Così fu per le cristianità, occidentale e orientale, che sorsero dalla crisi dell’età tardo-antica, così fu anche per la Reconquista in Spagna. Ugualmente avvenne per le crisi personali che investirono la vita di molti uomini i quali, attraverso di esse, cominciarono un percorso che li portò alla santità, come san Paolo o s. Ignazio di Loyola o s. Agostino. Il Papa porta l’esempio di molti personaggi biblici e dello stesso Gesù, che sperimentò nella sua umanità crisi terribili, come nei 40 giorni trascorsi nel deserto o nella notte del Getsemani o sulla croce, dove sperimentò la sensazione di essere stato abbandonato dal Padre.
Proprio nel momento in cui “sentiva” la terribile morsa della disperazione, il Signore vinse la tentazione rimettendosi alla volontà del Padre e indicandoci la strada per affrontare e vincere le tentazioni e superare le crisi. «Quante volte anche le nostre analisi ecclesiali sembrano racconti senza speranza. Una lettura della realtà senza speranza non si può chiamare realistica. La speranza dà alle nostre analisi ciò che tante volte i nostri sguardi miopi sono incapaci di percepire. Dio risponde ad Elia che la realtà non è così come l’ha percepita lui: “Su, ritorna sui tuoi passi verso il deserto di Damasco; […] Io, poi, riserverò per me in Israele settemila persone, tutti i ginocchi che non si sono piegati a Baal e tutte le bocche che non l’hanno baciato” (1 Re 19,15.18). Non è vero che lui sia solo: è in crisi».
Infatti, continua il Papa, «Chi non guarda la crisi alla luce del Vangelo, si limita a fare l’autopsia di un cadavere: guarda la crisi, ma senza la speranza del Vangelo, senza la luce del Vangelo».
E dunque, «se troviamo di nuovo il coraggio e l’umiltà di dire ad alta voce che il tempo della crisi è un tempo dello Spirito, allora, anche davanti all’esperienza del buio, della debolezza, della fragilità, delle contraddizioni, dello smarrimento, non ci sentiremo più schiacciati, ma conserveremo costantemente un’intima fiducia che le cose stanno per assumere una nuova forma, scaturita esclusivamente dall’esperienza di una Grazia nascosta nel buio».
La crisi, dice il Pontefice, non può essere superata con la «logica del conflitto», quella logica che concepisce la Chiesa come un partito, divisa in «soggetti divisi in amici da amare e nemici da combattere», oppure «come una qualunque assemblea democratica fatta di maggioranze e minoranze. Come un parlamento, per esempio: e questa non è la sinodalità. Solo la presenza dello Spirito Santo fa la differenza».
Sarebbe difficile non vedere come la Chiesa ha dei nemici e più ancora ne ha la stessa umanità, nella quale vivono uomini che fanno di tutto per cancellare l’immagine divina che il Creatore ha scritto nella Creazione. E tuttavia, forse la più grande novità portata da Cristo è stata proprio l’invito ad amare i propri nemici, non per evitare il combattimento, ma per trasformarlo in una lotta per il loro bene, perché scoprano in Cristo il senso della vita. E a maggior ragione quando questi presunti nemici si trovano all’interno della Chiesa.
Martedì, 21 dicembre 2020