In un mondo frammentato e in guerra, c’è bisogno più che mai della pace di Cristo
di Michele Brambilla
Il 17 aprile, giorno di Pasqua, Papa Francesco imparte dalla loggia centrale di S. Pietro la Benedizione solenne Urbi et Orbi. Il primo accenno, nel messaggio correlato al Regina Coeli, è alla concretezza della risurrezione: Gesù «mostra le piaghe nelle mani e nei piedi, la ferita nel costato: non è un fantasma, è proprio Lui, lo stesso Gesù che è morto sulla croce ed è stato nel sepolcro». Dopo un primo momento di incertezza, i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Forse «anche i nostri sguardi sono increduli, in questa Pasqua di guerra. Troppo sangue abbiamo visto, troppa violenza». In piazza S. Pietro sono tantissimi gli ucraini e coloro che portano bandiere ucraine per solidarietà con quel popolo martoriato. «Anche i nostri cuori si sono riempiti di paura e di angoscia», dice il Papa, «mentre tanti nostri fratelli e sorelle si sono dovuti chiudere dentro per difendersi dalle bombe. Facciamo fatica a credere che Gesù sia veramente risorto, che abbia veramente vinto la morte», visto che, ancora una volta, quest’ultima sembra trionfare.
«No, non è un’illusione», conferma il Santo Padre. «Oggi più che mai risuona l’annuncio pasquale tanto caro all’Oriente cristiano: “Cristo è risorto! È veramente risorto!”. Oggi più che mai abbiamo bisogno di Lui, al termine di una Quaresima che sembra non voler finire» perché «abbiamo alle spalle due anni di pandemia, che hanno lasciato segni pesanti. Era il momento di uscire insieme dal tunnel, mano nella mano, mettendo insieme le forze e le risorse… E invece stiamo dimostrando che in noi non c’è ancora lo spirito di Gesù, c’è ancora lo spirito di Caino, che guarda Abele non come un fratello, ma come un rivale, e pensa a come eliminarlo», non soltanto in Ucraina. Il Pontefice è al corrente degli scontri interreligiosi in corso a Gerusalemme, pertanto prega che «possano israeliani, palestinesi e tutti gli abitanti della Città Santa, insieme con i pellegrini, sperimentare la bellezza della pace, vivere in fraternità e accedere con libertà ai Luoghi Santi nel rispetto reciproco dei diritti di ciascuno».
Più telegrafiche le parole riservate ad altre aree di crisi: Libano, Siria, Iraq, Yemen, Myanmar, Afghanistan, ma anche America Latina, dove la pandemia ha reso più instabili i governi e più precarie le condizioni di vita di molta parte della popolazione locale. Un cenno merita anche il cammino di riconciliazione tra indigeni e “bianchi” in Canada. Il Papa invita, diversamente, a focalizzarsi in maniera particolare su quanto si sta muovendo in Africa: «sia pace per tutto il continente africano, affinché cessino lo sfruttamento di cui è vittima e l’emorragia portata dagli attacchi terroristici – in particolare nella zona del Sahel – e incontri sostegno concreto nella fraternità dei popoli. Ritrovi l’Etiopia, afflitta da una grave crisi umanitaria, la via del dialogo e della riconciliazione, e cessino le violenze nella Repubblica Democratica del Congo». L’Africa è sempre più al cuore delle preoccupazioni della Santa Sede per le molteplici conseguenze, tra le quali il massiccio esodo dei profughi nel Mediterraneo, che derivano dall’instabilità del Sahel.
La guerra in Ucraina, ricorda Francesco, ha un’incidenza anche dal punto di vista degli approvvigionamenti alimentari in tante altre parti del mondo. «Davanti ai segni perduranti della guerra, come alle tante e dolorose sconfitte della vita, Cristo, vincitore del peccato, della paura e della morte, esorta a non arrendersi al male e alla violenza. Fratelli e sorelle», esorta il Papa, «lasciamoci vincere dalla pace di Cristo».
Martedì, 19 aprile 2022