di Michele Brambilla
L’accezione comune di “profezia” è “predizione del futuro” e in genere la si associata alle catastrofi. Pure Gesù sembra aderire al “canovaccio” del “profeta di sventura” nel Vangelo (cfr Mc 13,24-32) della XXXIII domenica del Tempo ordinario (anche la contemporanea I domenica di Avvento ambrosiano ha un tema escatologico). Tuttavia, precisa Papa Francesco alla recita dell’Angelus del 18 novembre, il Suo «non è in primo luogo un discorso sulla fine del mondo, piuttosto è l’invito a vivere bene il presente, ad essere vigilanti e sempre pronti per quando saremo chiamati a rendere conto della nostra vita».
Il pensiero dei Novissimi non deve, infatti, diventare un’ossessione paralizzante, ma ricordare che ogni frammento del tempo può essere abitato dal Signore. «La storia dell’umanità, come la storia personale di ciascuno di noi, non può essere compresa come un semplice susseguirsi di parole e di fatti che non hanno un senso. Non può essere neppure interpretata alla luce di una visione fatalistica, come se tutto fosse già prestabilito secondo un destino che sottrae ogni spazio di libertà, impedendo di compiere scelte che siano frutto di una vera decisione. Nel Vangelo di oggi, piuttosto, Gesù dice che la storia dei popoli e quella dei singoli hanno un fine e una meta da raggiungere: l’incontro definitivo con il Signore».
Molti hanno provato o tentano ancora di calcolare esattamente la data del ritorno glorioso di Cristo. Circolano su Internet persino pseudo-rivelazioni private, molte delle quali attribuite alla Madonna, che alimentano timori tra i fedeli cattolici più sensibili o influenzabili. Cristo nel Vangelo toglie qualsiasi fondamento alle speculazioni di questo tipo. «Non conosciamo il tempo né le modalità con cui avverrà; il Signore ha ribadito che “nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio” (v. 32); tutto è custodito nel segreto del mistero del Padre. Conosciamo, tuttavia, un principio fondamentale con il quale dobbiamo confrontarci: “Il cielo e la terra passeranno – dice Gesù –, ma le mie parole non passeranno” (v. 31). Il vero punto cruciale è questo», cioè mettere in pratica sempre e comunque la parola di Dio.
Il Pontefice si vede costretto, in proposito, ad allungare il martirologio della Chiesa. «Con dolore ho appreso la notizia della strage compiuta due giorni fa in un campo di sfollati nella Repubblica Centrafricana, in cui sono stati uccisi anche due sacerdoti. A questo popolo a me tanto caro, dove ho aperto la prima Porta Santa dell’Anno della Misericordia, esprimo tutta la mia vicinanza e il mio amore. Preghiamo per i morti e i feriti e perché cessi ogni violenza in quell’amato Paese che ha tanto bisogno di pace». Il martire è colui che non smette di dare testimonianza alla Verità perché sa che la sua vita non andrà perduta, ma, come Gesù, inaugura nuovi cieli e nuova terra.