di Marco Invernizzi
Quando, nel dicembre 2005, pronunciò il celebre discorso sul Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) indicando quale dovesse essere l’ermeneutica corretta per interpretarlo, cioè «[…] l’“ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato», Papa Benedetto XVI diceva che chi opera per dividere e contrapporre la Chiesa e i suoi membri di fatto opera per cercare di distruggerla. Questo è quello che appare osservando i risultati del documento diffuso dell’ex nunzio negli Stati Uniti d’America, l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, pochi giorni dopo la sua pubblicazione, il 26 agosto. Pensato e scritto con ogni evidenza per nuocere al regnante Pontefice, fino al punto di chiederne le dimissioni, il documento di fatto colpisce più pesantemente i due predecessori, Benedetto XVI e san Giovanni Paolo II (1920-2005).
Il testo dell’arcivescovo Viganò ricostruisce la carriera ecclesiastica di Theodore Edgar McCarrick, vescovo dal 1977, promosso arcivescovo di Washington alla fine del 2000, quindi creato cardinale l’anno successivo da san Giovanni Paolo II. Quest’ultimo sarebbe pertanto responsabile di avere elevato alla porpora un vescovo di cui era risaputo il vizio di portarsi dei seminaristi nel letto della propria casa al mare. Ma non è vero, come lascia intendere il documento, che nel 2000 il Papa polacco fosse incapace di governare la Chiesa, che infatti avrebbe guidato ancora per cinque anni. Tant’è che lo stesso mons. Viganò avanza l’ipotesi che san Giovanni Paolo II sia stato tenuto all’oscuro di tutto dal Segretario di Stato dell’epoca, il card. Angelo Sodano, cosa che comunque non ne diminuirebbe le responsabilità. Peggio ancora ne esce il Papa oggi emerito, Benedetto XVI, che, secondo il documento, avrebbe comminato sanzioni segrete al card. McCarrick, ma che non si sarebbe preoccupato di farle rispettare, addirittura ricevendolo pubblicamente in Vaticano.
Il documento propone poi un lungo elenco di prelati della Curia vaticana e della Chiesa statunitense che sarebbero compromessi con l’ideologia omosessualista e con le reti gay-friendly che infestano seminari e diocesi di tutto il mondo. Giova però ricordare che tutti questi uomini di Chiesa hanno fatto carriera ecclesiastica ben prima dell’elezione di Francesco al Soglio di Pietro, il quale guida la Chiesa da cinque anni, dal marzo 2013.
Se lo scopo del memoriale è, come è stato affermato dal suo autore, quello di provocare interventi più decisi contro i responsabili degli abusi sessuali, non si spiega il salto logico della richiesta di dimissioni del Pontefice: sarebbe stato sufficiente diffondere il testo, pur se cautela e amore per la Chiesa avrebbero preteso di evitarlo. La richiesta di dimissioni qualifica l’attacco, più che contro gli autori di quelli che Papa Francesco ha definito «crimini», come diretto in prima battuta contro lo stesso Santo Padre.
Il passaggio che manifesta il massimo del risentimento è il seguente: «Francesco sta abdicando al mandato che Cristo diede a Pietro di confermare i fratelli. Anzi con la sua azione li ha divisi, li induce in errore, incoraggia i lupi nel continuare a dilaniare le pecore del gregge di Cristo» perché «nel caso di McCarrick non solo non si è opposto al male ma si è associato nel compiere il male con chi sapeva essere profondamente corrotto, ha seguito i consigli di chi ben sapeva essere un perverso, moltiplicando così in modo esponenziale con la sua suprema autorità il male operato da McCarrick. E quanti altri cattivi pastori Francesco sta ancora continuando ad appoggiare nella loro azione di distruzione della Chiesa!».
Insomma, il documento è di fatto un risentimento rivolto non solo verso Papa Francesco, poiché ‒ come detto ‒ coinvolge anche almeno i suoi due predecessori. E questo è incoerente con chi si augura di dividere la Chiesa fra il Papa emerito e quello in carica, nonostante le ripetute dichiarazioni di fedeltà di Benedetto XVI nei confronti del successore. Il documento costituisce inoltre un assist per chi ha un progetto ideologico più ambizioso, quello di mettere in discussione l’operato della Chiesa dal Concilio Vaticano II in poi, confondendo i documenti conciliari, che invitano alla nuova evangelizzazione di un mondo non più cristiano, con gli abusi dell’epoca postconciliare. Infatti, per riprendere le parole di Papa Ratzinger citate in apertura, non esiste soltanto una “ermeneutica della discontinuità” che vuole cancellare 17 secoli di storia della Chiesa cosiddetta costantiniana, ma esiste anche una “ermeneutica della discontinuità” di chi vorrebbe sbarazzarsi degli ultimi cinquant’anni, dal Concilio stesso a oggi. Ma la Chiesa Cattolica è una e una è la sua storia, fatta di luci e di ombre, di santità e di peccato, di fedeltà e di tradimenti: se si rifiuta un pezzo si getta via tutto, in pratica si dà vita a uno scisma.
Che l’obiettivo sia Papa Francesco, prima ancora degli abusi sessuali e di chi se ne sia reso responsabile, non emerge solo dalle inequivocabili parole qui riportate. A esse vanno aggiunte le modalità di diffusione del memoriale, tese a conferire a esso il maggior rilievo possibile: il documento è stato infatti pubblicato domenica 26 agosto sul quotidiano italiano La Verità e contestualmente su altri media in Spagna e negli Stati Uniti; è stato redatto con la decisiva collaborazione di Marco Tosatti, già vaticanista de La Stampa e curatore del blog Stilum Curiae, che lo ha reso giornalisticamente fruibile; ed è uscito il giorno in cui il Papa interveniva in Irlanda, all’Incontro con le famiglie, per accentuare il presunto iato fra quanto il Santo Padre diceva durante la visita e la triste realtà della sua presunta copertura degli abusi sessuali.
La dinamica dell’attacco mutua modalità più volte sperimentate sulla scena politica, non solo italiana. Con tutte le differenze di epoca e di contesto, come non ricordare la diffusione mediatica dell’informazione di garanzia consegnata all’allora presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi il 22 novembre 1994, mentre presiedeva una importante conferenza internazionale sul crimine organizzato a Napoli? La delegittimazione derivatane in quel caso dal tema e dal rilievo della conferenza, e dal contrasto fra l’esistenza di un procedimento penale a carico del premier e la circostanza che egli guidasse lavori che dovevano condurre a una più efficace repressione dei delitti, contribuì a determinare le condizioni perché l’on. Berlusconi si dimettesse dopo qualche settimana. Una dinamica analoga ha causato la caduta di altri governi negli anni seguenti: si pensi per tutti al secondo esecutivo guidato da Romano Prodi nel 2008 con la divulgazione di un procedimento penale a carico del ministro della Giustizia dell’epoca, on. Clemente Mastella.
Come sulla scena politica per anni ‒ qualche residuo vi è tuttora ‒ si è pensato di abbattere l’avversario non con le armi della competizione fra leader, partiti e programmi, bensì enfatizzando indagini, a prescindere dal loro esito giudiziario, così la “vicenda Viganò” svela la funzionalità della denuncia alla richiesta di dimissioni. E però, come il calcolo politico di percorrere la scorciatoia giudiziaria ha mostrato sempre un respiro breve ‒ prima o poi viene il turno della delegittimazione di chi in precedenza ha cavalcato contro l’avversario passaggi processuali non significativi ‒, così già in queste ore nei confronti di mons. Viganò si stanno attivando svariate contestazioni di avere lui per primo mantenuto ottime e pubbliche relazioni con parte dei prelati che ora accusa.
Nel merito, è certo che, a partire dalle parole pronunciate dall’allora card. Joseph Ratzinger nella Via Crucis per il Venerdì Santo del 2005 ‒ «Quanta sporcizia c’è nella Chiesa e proprio fra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui!» dove «lui» è evidentemente Cristo ‒, vi siano state, da oltre un decennio, e siano state d’intensità crescente, le denunce dei Pontefici sugli abusi sessuali commessi da sacerdoti, soprattutto nei confronti di minori. Poco prima dei discorsi tenuti sul punto in Irlanda, e poi all’udienza generale di mercoledì 29 agosto, Papa Francesco ha dedicato alla questione la Lettera al Popolo di Dio del 20 agosto 2018. In essa il Pontefice parla di «un crimine che genera profonde ferite di dolore e di impotenza, anzitutto nelle vittime, ma anche nei loro familiari e nell’intera comunità, siano credenti o non credenti. Guardando al passato, non sarà mai abbastanza ciò che si fa per chiedere perdono e cercare di riparare il danno causato. Guardando al futuro, non sarà mai poco tutto ciò che si fa per dar vita a una cultura capace di evitare che tali situazioni non solo non si ripetano, ma non trovino spazio per essere coperte e perpetuarsi». Per concludere che «Il dolore delle vittime e delle loro famiglie è anche il nostro dolore, perciò urge ribadire ancora una volta il nostro impegno per garantire la protezione dei minori e degli adulti in situazione di vulnerabilità».
Né si può dire che le denunce non siano state seguite da provvedimenti concreti nei confronti di preti, vescovi e cardinali nei cui confronti siano emersi elementi di responsabilità per atti di questo tipo.
Che la parte più significativa di abusi sessuali risalga a oltre 10-15 anni fa (talora a più decenni fa) è la conferma che l’attenzione prestata dagli ultimi tre Pontefici abbia avuto effetti positivi nel circoscriverne la quantità. Va aggiunto che la ricostruzione di abusi consumati in epoca assai remota ha delle difficoltà obiettive. Esige equilibrio e cautela, e rischia di fare poco oppure di strafare. La distanza temporale rende le testimonianze non sempre affidabili; la distanza geografica fra i luoghi dei presunti “crimini” e Roma impone di fare affidamento, se pur non esclusivo, su soggetti che possono aver avuto in passato comportamenti omissivi, o di copertura, e che quindi non forniscono informazioni complete. Lo ha ricordato lo stesso Santo Padre, di rientro dall’Irlanda, nel colloquio con i giornalisti la sera del 26 agosto, menzionando il recente caso dei sacerdoti accusati di pedofilia a Granada, processati e condannati mediaticamente, e invece assolti dopo tre anni di indagini e di processi con la condanna del loro accusatore. Può accadere anche il contrario, come per le vicende del Cile: in occasione della visita nel Paese andino, in gennaio, Papa Francesco ha escluso responsabilità di prelati che invece, nelle settimane successive, hanno trovato riscontri. È però significativo che in quel caso il Santo Padre sia intervenuto immediatamente sollecitando le dimissioni dei vescovi cileni implicati.
Da ultimo, la vicenda del card. McCarrick non ha precedenti specifici in termini di gravità della sanzione. Papa Francesco lo ha rimosso dal Collegio dei Cardinali il 28 luglio dopo che hanno trovato riscontro nei suoi confronti le accuse di abusi sessuali, peraltro a seguito della pronuncia di un Tribunale ecclesiastico, mentre precedenti giudizi civili erano stati definiti con transazioni. Per mons. Viganò il Papa ha fatto questo soltanto per salvaguardare la propria immagine; in pratica non gli riconosce neppure la buona fede e arriva a giudicarne le intenzioni: «Anche nella triste vicenda di McCarrick, il comportamento di papa Francesco non è stato diverso. Sapeva perlomeno dal 23 giugno 2013 che McCarrick era un predatore seriale. Pur sapendo che era un corrotto, lo ha coperto ad oltranza, anzi ha fatto suoi i suoi consigli non certo ispirati da sane intenzioni e da amore per la Chiesa. Solo quando vi è stato costretto dalla denuncia di un abuso di un minore, sempre in funzione del plauso dei media, ha preso provvedimenti nei suoi confronti per salvare la sua immagine mediatica».
Al netto di questo attacco contro il Papa, meglio contro gli ultimi tre Papi (almeno), rimane il fatto che la Chiesa ha risposto con la santità all’aggressione portata cinquant’anni fa, a partire dal 1968, dall’ideologia gay e dalle reti di complicità clericale che questa lobby è riuscita a creare dentro il corpo di Cristo. Non dimentichiamolo. Non smettiamo di guardare anche al tanto bene che continua a esistere dentro la Sposa di Cristo, a cominciare dalla santità dei Papi del secolo XX, san Pio X (1903-1914), san Giovanni XXIII (1958-1963), il prossimo san Paolo VI (1963-1978), san Giovanni Paolo II (1978-2005). Questa è la via che può cercare di smantellare la “sporcizia” clericale presente dentro la Chiesa e denunciata anche da Papa Francesco nella Lettera al popolo di Dio come prima dal card. Ratzinger. Perché, come Francesco scrive appunto nella Lettera al Popolo di Dio, «[…] è necessario che ciascun battezzato si senta coinvolto nella trasformazione ecclesiale e sociale di cui tanto abbiamo bisogno. Tale trasformazione esige la conversione personale e comunitaria e ci porta a guardare nella stessa direzione dove guarda il Signore. […] Per questo scopo saranno di aiuto la preghiera e la penitenza […] che risveglia la nostra coscienza, la nostra solidarietà e il nostro impegno per una cultura della protezione e del “mai più” verso ogni tipo e forma di abuso».
Marco Invernizzi
Reggente nazionale di Alleanza Cattolica
31 agosto 2018, festa dei martiri di Almerìa, Spagna, 1936