Intervista ad Eduard Habsburg-Lothringen da Avvenire del 10/09/2021
Eduard Habsburg Lothringen, 54 anni e un cognome carico di storia, è dal 2015 ambasciatore di Ungheria presso la Santa Sede e un osservatore speciale dell’evento ecclesiale iniziato a Budapest domenica scorsa.
Ambasciatore, quali frutti può portare il Congresso eucaristico, una formula nata alla fine del 1800, nell’Ungheria del 2021?
Da cattolico spero nella forza di quella preghiera che in Ungheria si è recitata per anni in vista di questo appuntamento: «Fa’ che la preparazione e la celebrazione del Congresso eucaristico conducano all’autentico rinnovamento spirituale delle comunità cristiane, delle città e dei popoli dell’Europa e del mondo intero». Una rinascita, come dice il cardinale Erdö. Come ambasciatore d’Ungheria non posso non rilevare che nel preambolo della nostra Legge fondamentale vi è un passaggio analogo: «Dopo i decenni del XX secolo che hanno portato a una decadenza morale abbiamo inevitabilmente bisogno di un rinnovamento spirituale ed intellettuale». Sicuramente potrà portare nei credenti una maggiore consapevolezza della propria fede e forse un’attenzione maggiore da parte dei non credenti. E, spero, aiuterà a far conoscere meglio il volto cattolico dell’Ungheria, le sue liturgie celebrate con grande dignità, la sua splendida musica sacra e i suoi cultori bravissimi ma non abbastanza conosciuti, più tanti protagonisti della vita ecclesiale. Infine, speriamo che promuova la fratellanza tra le nazioni, specialmente qui, nell’Europa centrale, grazie anche agli eventi e alle celebrazioni in diverse lingue, compresa la Messa in lingua lovari, cioè dei rom.
Qual è un luogo dove oggi brilla la fede degli ungheresi?
L’auspicio è che brilli prima di tutto nelle parrocchie. E devo dire che pur nella diversità delle situazioni locali, a Budapest abbiamo delle parrocchie molto vivaci, con chiese piene. Abbiamo poi i vari santuari che anche da noi sono colonne portanti della fede. La sacra fonte di Mátraverebély- Szentkút è il santuario nazionale per i cattolici di rito latino, Máriapócs è invece il santuario dei greco-cattolici, conosciutissimo per la sua icona miracolosa che ha pianto più volte e dove anche san Giovanni Paolo II ha celebrato 30 anni fa. Devo poi menzionare l’Arciabbazia benedettina di Pannonhalma, con la sua vocazione per l’ecumenismo, fondata mille anni fa da santo Stefano proprio perché i monaci pregassero per il Paese, cosa che fanno tuttora. San Giovanni Paolo II la volle visitare proprio 25 anni fa, in occasione del suo millenario.
Qual è il santo più rappresentativo dell’anima ungherese?
Essendo l’Ungheria il “Regnum marianum”, è sicuramente la Madonna, patrona degli ungheresi, la più venerata sin dagli inizi del cristianesimo col nome di Boldogasszony, Beata Signora. Il re Stefano è senza dubbio il più rappresentativo dei santi ungheresi. Con la sua scelta di adottare il cristianesimo latino, che fu una scelta non solo politica ma anche di fede personale, egli ha veramente assicurato la sopravvivenza degli ungheresi. L’Ungheria si regge sulla sua eredità, non a caso la sacra corona di re Stefano è il simbolo dell’unità della nazione, presente anche sullo stemma dello Stato. Però non abbiamo solo dei personaggi della storia lontana a cui guardare. Abbiamo anche i santi contemporanei, canonizzati o meno, che hanno segnato la fede nel XX secolo. È commovente sapere che molti di loro hanno preso parte al Congresso eucaristico internazionale di Budapest del 1938 e poi hanno testimoniato la fede come martiri o confessori. Prima di tutto il venerabile cardinale József Mindszenty, che è stato anche un eccellente pastore moderno nel suo tempo, non solo un eroe della resistenza alla dittatura atea.
Come discendente degli Asburgo Lei si sente più a casa a Budapest, a Vienna o magari a Roma? Che domanda per un Asburgo… Storicamente siamo una famiglia sovranazionale, nel senso proprio del termine, tuttavia ci sentiamo legati alle terre dove abbiamo vissuto. Io sono nato in Baviera, ho vissuto per lo più in Austria, e adesso lavoro a Roma come ambasciatore e, come dice la lapide di un penitenziere ungherese sepolto a nella chiesa di Santo Stefano Rotondo, Roma è la patria di tutti (Roma est patria omnium fuitque). Appartengo al ramo ungherese della famiglia Asburgo che ha segnato la storia del XIX secolo in Ungheria. Pensi che la statua del mio avo arciduca Giuseppe, Palatino d’Ungheria, è rimasta nel centro di Budapest anche durante il comunismo, non certo amichevole nei confronti della monarchia, per i meriti che ha avuto nello sviluppo della capitale ungherese. Io sono erede di questa storia e cerco di viverla nel presente.