Impressioni, ricordi e soprattutto parole del papa, come gesto di riconoscenza verso chi ha saputo parlare alla mia intelligenza e al mio cuore.
di Luca Finatti
4 Gennaio 2023
Ore 12.20 – Italo parte puntuale.
Solo, in viaggio verso Roma, come in pellegrinaggio. Riaffiorano alcuni ricordi di gioventù: 1991, 20 anni, io animatore parrocchiale, lui prete-operaio, ultimo reduce inviato nella nostra chiesa di periferia. Disse, con alterato tono e mani inquiete per aria, che la vera teologia è quella che nasce dal basso, non quella che viene dall’alto, come invece pensa quel Ratzinger … (giù una parolaccia irriferibile).
Non sapevo cosa fossero l’alto e il basso in questione, ma la parolaccia stonò talmente tanto nella mia anima di adolescente sfigato, vorace di libri, che immediatamente mi procurai un libro di quel Ratzinger: “Rapporto sulla fede”.[1]
Mi ricordo che, oltre a un’impressione generale molto positiva di un cardinale che spiegava semplice le cose difficili, senza annoiare, mi fissai in mente una frase: “Il contrario di conservatore non è progressista, bensì missionario”.
Da quel momento iniziò il mio lungo addio al cattolicesimo progressista.
Ore 18.00 – Entro in piazza S. Pietro.
Passo da via Porta Angelica, siamo oltre il tramonto, di luminoso ci sono le luci gelide dell’ albero natalizio e del caldo presepe di legno realizzato da artigiani di Sutrio, un piccolo borgo montano della Carnia, alle pendici del Monte Zoncolan.
In alto la Luna tonda splende, quasi appuntata in cima all’abete.
“[…] non è la stella a determinare il destino del Bambino, ma il Bambino guida la stella. Volendo, si può parlare di una specie di svolta antropologica: l’uomo assunto da Dio – come qui si mostra nel Figlio unigenito – è più grande di tutte le potenze del mondo materiale e vale più dell’universo intero”.[2]
Ore 18.30 – Davanti alle scalinate, prima di salire in basilica.
Ci ammassiamo, senza fretta, più di cento persone in gruppo prima d’infilarci per la scalinata della basilica. Non si può avanzare, la sicurezza ci ferma.
Tanti telefonini alzati, come selve di mani un tempo politicamente orientate. Ora però conta anzitutto poter dire: “Io c’ero”, come se l’esserci in fotografia consegnasse anche una patente d’identità: sono io quello che stava lì.
Non credo sia un male, pure io faccio un sacco di fotografie, per quelli che non sono qui, per inviarle loro e farli così più vicini. Per essere meglio collegati, come si dice oggi.
Lo faccio anzitutto per chi è già legato a me: mia moglie, i parenti e gli amici.
Certo ci sono dei rischi.
“La forza morale non è cresciuta assieme allo sviluppo della scienza, anzi, piuttosto è diminuita, perché la mentalità tecnica confina la morale nell’ambito soggettivo, mentre noi abbiamo bisogno proprio di una morale pubblica, una morale che sappia rispondere alle minacce che gravano sull’esistenza di tutti noi.
Il vero, più grave pericolo di questo momento sta proprio in questo squilibrio tra possibilità tecniche ed energia morale”.[3] Allora mentre fotografo dico il rosario.
Ore 18.40 – Davanti alla salma
Metto via lo smartphone, ora basta. Farò poi una foto da lontano. Andrè Bazin, grande critico cinematografico, diceva, negli anni 1950, che al cinema non si dovrebbero mai vedere scene di sesso e di morte, solo lasciarle intuire per via metaforica.
Sono a circa 4 metri dal corpo del Papa Emerito. Pregando penso che ora sia morta definitivamente anche l’Europa, quella che non ha voluto riconoscere le sue radici cristiane.
Il mio primo incontro con Alleanza Cattolica è avvenuto nel 2004, proprio su questi temi.
Scoprii persone capaci di rendere interessante un argomento non proprio attraente di suo, attraverso umili glosse a testi illuminanti come questo: “il vicendevole avvicinamento interiore, che si è avuto tra la fede biblica e l’interrogarsi sul piano filosofico del pensiero greco, è un dato di importanza decisiva non solo dal punto di vista della storia delle religioni, ma anche da quello della storia universale – un dato che ci obbliga anche oggi.
Considerato questo incontro, non è sorprendente che il cristianesimo, nonostante la sua origine e qualche suo sviluppo importante nell’Oriente, abbia infine trovato la sua impronta storicamente decisiva in Europa. Possiamo esprimerlo anche inversamente: questo incontro, al quale si aggiunge successivamente ancora il patrimonio di Roma, ha creato l’Europa e rimane il fondamento di ciò che, con ragione, si può chiamare Europa”.
Mentre esco dalla basilica, tre giovani suore mi chiedono una foto. Accetto, ma in cambio le fotografo per me. Tutte in grigio, orientali e sorridenti.
Ore 20.00 – In camera
Alloggio in una guest house molto bella, un palazzo ottocentesco dalle parti di via Merulana, gestito dalle Suore di s. Giuseppe di Cluny (si chiamano così, ma s. Giuseppe qui è sempre lo sposo di Maria: l’istituto religioso nasce nel 1807 a Chalon-sur-Saône, da una monaca trappista, poi si trasferisce a Cluny nel 1812) insieme alla comunità Chemin neuf, una fraternità di celibi e coppie sposate, nata dall’incontro del seminarista gesuita Laurent Fabre con l’esperienza del Rinnovamento carismatico cattolico, nel 1972.
Chi mi accoglie mi dice che sono fortunato, non avrebbero voluto neanche aprire la casa per questa occasione. Chiedo perché, effettivamente è stato difficile trovare un posto in case religiose. Troppa confusione, troppe richieste, mi risponde.
Forse il gentile padre di famiglia che, nonostante tutto, mi ha accolto, scambia l’affetto popolare per superstizione. Certamente qui preferiscono la quiete, davvero esemplare, al fracasso delle piazze.Proprio come papa Benedetto: “ritirandosi nel silenzio e nella solitudine, l’uomo, per così dire, si «espone» al reale nella sua nudità, si espone a quell’apparente «vuoto» cui accennavo prima, per sperimentare invece la Pienezza, la presenza di Dio, della Realtà più reale che ci sia, e che sta oltre la dimensione sensibile”.
Ore 23.00
Prima di addormentarmi mi ricordo che oggi è ricominciato il campionato di calcio.
Il Toro ha pareggiato in casa con l’ultima squadra in classifica, nulla di nuovo su questo fronte.
Vigilia dei Mondiali di calcio del 1986, il card. Ratzinger pubblica un testo che stupisce: “[…] nessun altro avvenimento sulla terra può avere un effetto altrettanto vasto, il che dimostra che questa manifestazione sportiva tocca un qualche elemento primordiale dell’umanità e viene da chiedersi su cosa si fondi tutto questo potere di un gioco […] Si potrebbe rispondere, facendo riferimento alla Roma antica, che la richiesta di pane e gioco era in realtà l’espressione del desiderio di una vita paradisiaca, di una vita di sazietà senza affanni e di una libertà appagata. Perché è questo che s’intende in ultima analisi con il gioco: un’azione completamente libera, senza scopo e senza costrizione, che al tempo stesso impegna e occupa tutte le forze dell’uomo»”[4].
5 Gennaio 2023
Ore 8.00 – In piazza s. Pietro
Posti a sedere già occupati, cerco una posizione per foto interessanti oltre che pregare in pace. Un pezzo di transenna a metà della piazza è ancora miracolosamente sguarnito, mi apposto e comincio a fotografare preti, religiosi, suore e passanti.
Una foschia umida e fredda ricopre tutta la piazza; per gran parte della messa la croce in punta alla cupola rimarrà offuscata; tutto è calmo.
Ore 9.00
Sento applaudire e mi accorgo che sta uscendo la bara dalla basilica. In latino si recita il rosario. Poche foto, sono io il più attivo. Chi è qui non cerca l’evento.
“Siamo venuti per adorarlo” (Mt 2,2), XX Giornata Mondiale della Gioventù a Colonia, 20 agosto 2005. Io c’ero, ancora giovane (secondo l’Unione Europea la giovinezza termina nel mezzo del cammin di nostra vita), ricordo la veglia nella spianata di Marienfeld.
Un silenzio così, in mezzo a migliaia di ragazzi, non lo scordi più.
Un silenzio orientato verso il colle dove il palco è illuminato da una grande ostia.
“L’adorazione ha un contenuto e comporta anche un dono. Volendo con il gesto dell’adorazione riconoscere questo bambino come il loro Re al cui servizio intendevano mettere il proprio potere e le proprie possibilità, gli uomini provenienti dall’Oriente seguivano senz’altro la traccia giusta. Servendo e seguendo Lui, volevano insieme con Lui servire la causa della giustizia e del bene nel mondo. E in questo avevano ragione.
Ora però imparano che ciò non può essere realizzato semplicemente per mezzo di comandi e dall’alto di un trono. Ora imparano che devono donare se stessi – un dono minore di questo non basta per questo Re”.
Ore 09.50
Inizia l’omelia di papa Francesco. Sono stanco di stare in piedi, mi sposto verso la fontana del Bernini dove posso appoggiarmi. Grave errore, lo scroscio copre le parole del papa.
Fa lo stesso, lo leggerò poi. Predica breve. Mi guardo attorno e vedo ampi spazi vuoti dalle transenne alle braccia del colonnato. Non ci sono masse né folle, c’è il piccolo resto di un popolo che ha fatto la fatica di leggere il magistero di papa Benedetto XVI ed è qui per pregarlo in modo austero, come lui ha sempre vissuto ed ha domandato per le sue esequie.
Risuonano ampi canti scarni in gregoriano. Sembra di essere in un monastero a cielo aperto.
“Una parola anche sul bellissimo Salmo XIII. Risale agli anni in cui Liszt soggiornò a Tivoli e a Roma; è il periodo in cui il compositore vive in modo intenso la sua fede tanto da produrre quasi esclusivamente musica sacra; ricordiamo che ricevette gli ordini minori.
Il brano che abbiamo ascoltato ci ha dato l’idea della qualità e della profondità di questa fede. È un Salmo in cui l’orante si trova in difficoltà, il nemico lo circonda, lo assedia, e Dio sembra assente, sembra averlo dimenticato. E la preghiera si fa angosciosa davanti a questa situazione di abbandono: “Fino a quando, Signore?”, ripete per quattro volte il Salmista. “Herr, wie lange?”, ripetono in modo quasi martellante il tenore e il coro nel brano ascoltato: è il grido dell’uomo e dell’umanità, che sente il peso del male che c’è nel mondo; e la musica di Liszt ci ha trasmesso questo senso di peso, di angoscia. Ma Dio non abbandona.
Il Salmista lo sa e anche Liszt, da uomo di fede, lo sa. Dall’angoscia nasce una supplica piena di fiducia che sfocia nella gioia: “Esulterà il mio cuore nella tua salvezza … canterò al Signore, che mi ha beneficato”. E qui la musica di Liszt si trasforma: tenore, coro e orchestra innalzano un inno di pieno affidamento a Dio, che mai tradisce, mai si dimentica, mai ci lascia soli.
Liszt, a proposito della sua Missa Solemnis, scriveva: “Posso veramente dire che ho più pregato questa Messa di quanto l’abbia composta”. Penso che lo stesso possiamo dire di questo Salmo: il grande musicista ungherese l’ha più pregato che composto, o meglio l’ha pregato prima di comporlo”.
Ore 10.15
Preghiera eucaristica. C’inginocchiamo in molti; davanti a me un vecchio stringe con forza un bellissimo bastone intagliato a spirale e piega la schiena finché può.
Ore 10.30
M’inginocchio di nuovo alla transenna per fare la comunione.
Post communionem il Santo Padre:
Oremus.
Caritatis tuæ, Domine, sumentes sacra subsidia,
quæsumus, ut famulus tuus Benedictus
misericordiam tuam in Sanctorum gloria perpetuo collaudet,
qui fideli exstitit mysteriorum tuorum dispensator in terris.
Per Christum Dominum nostrum.
R. Amen[5]
Ore 10.35
Mi siedo sotto il colonnato, solitario, per ringraziare. Quando alzo lo sguardo mi accorgo di una massa scura, una specie di unico blocco di ferro nero[6]. Ci sono figure scolpite, sono migranti su un barcone, tutti appiccicati, desolati. Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo reinventato per i nostri tempi. Unica differenza: due ali svettano dall’arca, un discreto omaggio all’iconografia religiosa. Distolgo lo sguardo, vedo bambini correre in girotondo felici, con leggerezza, senza bisogno di ali.
“Certo, ogni Stato ha il diritto di regolare i flussi migratori e di attuare politiche dettate dalle esigenze generali del bene comune, ma sempre assicurando il rispetto della dignità di ogni persona umana. Il diritto della persona ad emigrare – come ricorda la Costituzione conciliare Gaudium et spes al n. 65 – è iscritto tra i diritti umani fondamentali, con facoltà per ciascuno di stabilirsi dove crede più opportuno per una migliore realizzazione delle sue capacità e aspirazioni e dei suoi progetti. Nel contesto socio-politico attuale, però, prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra, ripetendo con il Beato Giovanni Paolo II che «diritto primario dell’uomo è di vivere nella propria patria: diritto che però diventa effettivo solo se si tengono costantemente sotto controllo i fattori che spingono all’emigrazione» (Discorso al IV Congresso mondiale delle Migrazioni, 1998)”.
Ore 10.45
Siamo all’ultimo canto, è passata un’ora e un quarto dall’inizio; il mio parroco, che ha qualcosa di bizantino, in tutte le solennità mai meno di un’ora e venti.
Penso però che papa Benedetto ci guardi a cuor contento: ha visto essenzialità, ordine, preghiera. Qualche voce sparuta grida: “Santo subito”. Lo grido anch’io, due volte.
Voci in un desertico silenzio.
Ore 10.50
Vago per la piazza, fotografo. Pochi striscioni, qualche bandiera bavarese: nella mia ignoranza l’avevo scambiata per quella argentina, ma poi ho visto i due leoni. Non vedo stendardi. “Benedetto Magno” svetta a un tratto, ma è sbagliato, già utilizzato per il papa precedente.
Benedetto XVI, che l’ha ben conosciuto, non ha mai voluto imitarlo.
Lo Spirito Santo non fa cloni. Per me il cartello giusto sarebbe “Benedetto Minimo”, nel senso dato al suo ordine da san Francesco da Paola.
dopo il grande Papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore. Mi consola il fatto che il Signore sa lavorare ed agire anche con strumenti insufficienti e soprattutto mi affido alle vostre preghiere. Nella gioia del Signore risorto, fiduciosi nel suo aiuto permanente, andiamo avanti.
Il Signore ci aiuterà e Maria sua Santissima Madre starà dalla nostra parte.
Grazie.”
Sabato, 14 gennaio 2023
[1] Joseph Ratzinger, Rapporto sulla fede. Vittorio Messori a colloquio con il cardinale Joseph Ratzinger, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano), 1985.
[2] Joseph Ratzinger/Benedetto XVI, L’infanzia di Gesù, Rizzoli, Milano, 2012, pag. 119.
[3] Benedetto XVI, Nulla anteporre a Cristo, Edizioni scritti monastici, Abbazia di Praglia (PD), 2014, pag. 52.
[4] Joseph Ratzinger/Benedetto XVI, Cercate le cose di lassù. Riflessioni per tutto l’anno, Edizioni Paoline, Milano, 2020.
[5] “Dopo la comunione.
Il Santo Padre:
preghiamo.
Fortificati dai doni della tua carità, o Signore, ti chiediamo che il tuo servo Benedetto, fedele dispensatore dei divini misteri sulla terra, possa lodare la tua misericordia nell’eterna gloria dei santi. Per Cristo nostro Signore”, Messa esequiale per il Sommo Pontefice Emerito Benedetto XVI presieduta dal Santo Padre Francesco, Piazza San Pietro, 5 gennaio 2023.
[6] La scultura, in realtà in bronzo e argilla, s’intitola “Angels Unawares – Angeli inconsapevoli”, collocata lì il 29 settembre 2019 in occasione della 105.ma Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, realizzata dall’artista canadese Timothy P. Schmalz.