Di Elena Molinari da Avvenire del 07/10/2021
Prima settimana di lavoro per i nove giuridici della Corte Suprema americana, che in questi giorni hanno indossato le toghe nere e si sono riuniti in persona per la prima volta dall’inizio della pandemia (con l’eccezione di Brett Kavanaugh, che partecipa a distanza avendo contratto il Covid-19). Dalla loro aula austera nel cuore di Washington, i nove magistrati hanno dato avvio a un anno giudiziario che ha il potenziale per trasformare radicalmente alcuni aspetti fondamentali della vita americana. La convocazione del tribunale ha segnato anche l’inizio della prima stagione completa con tutti e tre i nuovi giudici nominati da Donald Trump. La presenza di Kavanaugh, Neil Gorsuch e Amy Coney Barrett (che ha sostituito la defunta, liberal, Ruth Bader Ginsburg) conferisce alla Corte una maggioranza conservatrice di 6 a 3. Quello che i giudici scelgono di fare di qui al prossimo giugno può non solo costituire un precedente duraturo per i tribunali statunitensi, ma cambiare radicalmente il tessuto della società americana per decenni a venire. La Corte ha deciso di esaminare diversi casi che vanno al cuore delle questioni sociali più controverse, che ha evitato di affrontare di petto negli ultimi anni.
Il nodo dell’aborto
In cima alla lista dei casi scottanti c’è Dobbs contro Jackson Women’s Health. Esamina, a partire dal primo dicembre, una nuova legge del Mississippi che vieta la maggior parte delle interruzioni a partire dalle 15 settimane di gravidanza. Sarà uno dei casi più seguiti nella storia recente della Corte Suprema. I gruppi pro-life intravedono, per la prima volta, la possibilità che il massimo tribunale Usa ribalti la storica sentenza «Roe v. Wade» (Roe contro Wade) che ha legalizzato l’aborto a livello nazionale fino al momento in cui il feto può sopravvivere al di fuori dell’utero, a circa 24 settimane. La Corte potrebbe decidere il caso in modo ristretto o ampio, e in questo secondo scenario consentirebbe a tutti i 50 Stati di imporre restrizioni o proibire le interruzioni di gravidanza. La speranza dei gruppi anti- abortisti viene dalla recente decisione della Corte che ha consentito l’entrata in vigore una legge del Texas che vieta tutte le interruzioni di gravidanza a partire dalla sesta settimana di gestazione. Preoccupati per la possibilità di un’invalidazione di Roe contro Wade, alcuni gruppi abortisti hanno di recente accusato i giudici conosciuti come “conservatori” di portare avanti un’agenda politica, suscitando le proteste dei magistrati. Samuel Alito ha affermato che i critici stavano intraprendendo «sforzi senza precedenti per intimidire la Corte». Amy Coney Barrett ha respinto le accuse. Clarence Thomas, il giudice più longevo dell’alto tribunale, ha accusato i media di aver creato l’apparenza che i magistrati governino in base alle loro «preferenze personali», come se fossero degli uomini politici.
Il controverso «diritto» alle armi
Il caso sui diritti di possedere armi che il tribunale costituzionale ha accettato di affrontare non è meno controverso. Per la maggior parte della storia americana, la Corte Suprema ha fatto ben poco per definire il «diritto di portare armi» delineato nel secondo emendamento della costituzione Usa. Tutto è cambiato nel 2008, quando una risicata maggioranza dei giudici ha sostenuto il diritto costituzionale di ogni cittadino di tenere una pistola in casa per legittima difesa. Il caso davanti ai nove massimi togati quest’anno è il primo, da allora, che potrebbe estendere quella prerogativa. Si basa una legge dello Stato di New York che impone a chi vuole portare un’arma fuori casa di ottenere una licenza speciale, rilasciata a discrezione delle autorità locali, dopo aver dimostrato una «giusta ragione» per girare armato. I sostenitori del controllo delle armi temono che la maggioranza dei giudici la dichiari incostituzionale. In questo modo autorizzerebbero la detenzione di una pistola ovunque fuori casa, in tasca o in auto, anche nelle grandi città, esacerbando un’epidemia di violenza armata in un momento in cui il tasso di omicidi è già in aumento. Le due parti in causa esporranno le loro posizioni ai magistrati il 3 novembre. Il ricorso contro la legge di New York è stato avanzato dalla National rifle association (Nra), la potente lobby americana delle armi.
La libertà di fede sotto la lente
Il tema della libertà religiosa verrà affrontato l’8 dicembre, quando la Corte discuterà la decisione del Maine di vietare alle scuole religiose, dall’asilo al liceo, di ricevere fondi statali. Il Maine è uno stato rurale dove più della metà delle città sono troppo piccole per avere scuole pubbliche. Ma la sua normativa richiede a tutti i centri urbani di fornire un’istruzione ai minori. I Comuni, quindi, possono stipulare un contratto con una scuola pubblica o privata vicina, oppure pagare direttamente la retta presso un istituto privato scelto da un genitore. C’è un’eccezione. Le tasse scolastiche possono essere pagate solo a una scuola non religiosa, in modo che i dollari dei contribuenti non vengano utilizzati per finanziare l’educazione religiosa. Il nuovo divieto rischia di violare il diritto allo studio ed è improbabile che il tribunale lo avvalli. Sebbene per generazioni la Corte Suprema abbia eretto un alto muro di separazione tra Chiesa e Stato quando si trattava di finanziamenti statali, negli ultimi anni ha considerato molte di queste restrizioni discriminatorie. Il tribunale è diventato molto più ricettivo alle istanze delle organizzazioni confessionali e, nel 2020, ha allentato le regole su scuole religiose che partecipano ai programmi di assistenza statale. Un altro caso legato allo stesso tema è in programma il primo novembre, riguarda John Ramirez, condannato alla pena di morte per l’uccisione di un uomo durante una rapina avvenuta in Texas nel 2004. Ramirez ha chiesto che, durante l’esecuzione, sia permesso al suo consigliere spirituale di stargli vicino, poggiargli una mano sulla spalla e pregare ad alta voce. Il governo del Texas glielo ha proibito e Ramirez ha fatto ricorso, ottenendo udienza presso la Corte.
Il dibattito sulla pena di morte
Il quarto grande tema sociale all’esame della Corte Suprema riguarda le condanne a morte, in un caso che verrà discusso il 13 ottobre. L’Amministrazione Biden, contraddicendo l’opposizione alla pena di morte sostenuta durante la sua campagna elettorale, ha chiesto la reintroduzione della pena capitale per l’attentatore della maratona di Boston, Dzhokhar Tsarnaev. L’agguato, avvenuto il 15 aprile 2013, provocò tre vittime e 264 feriti, di cui 17 persero gli arti. Il fratello di Tsarnaev, Tamerlan, morì nel conflitto a fuoco con gli agenti. Un tribunale di grado inferiore ha stabilito che la condanna a morte del giovane non era valida perché i giurati erano stati pesantemente influenzati dalla copertura mediatica prima del processo, e perché erano stati informati di altri omicidi commessi dal fratello di Tsarnaev, che aveva cospirato con lui negli attentati. Lunedì scorso, primo giorno di lavoro per i nove magistrati, il giudice Stephen Breyer ha suggerito all’alto tribunale di valutare la costituzionalità della pena di morte, evidenziando «la necessità che questa Corte, o altri tribunali, considerino tale questione in un caso appropriato». Una posizione in linea con la tendenza del pubblico Usa, che da anni sta prendendo le distanze dalla pena capitale. Nel 2019, per la prima volta, il 60 per cento degli americani, in un sondaggio realizzato da Gallup, si sono detti contrari al boia come punizione perfino nei casi dei delitti più efferati.
I limiti della lotta al terrore
Il quinto tema riguarda il diritto del governo di mantenere il segreto sulle misure adottate in risposta agli attentati terroristici dell’11 settembre 2001. L’udienza dell’8 novembre prenderà in esame un contenzioso tra il Fbi e Fazaga, gruppo di cittadini musulmani della California che sostiene di essere stato sorvegliato, a metà degli anni Duemila, solo sulla base di motivi religiosi. Un secondo caso chiede alla Corte Suprema se Abu Zubaydahun, prigioniero di Guantanamo e vittima di torture da parte della Cia, possa accedere a documenti in mano agli 007, se questi possono aiutarlo a chiarire la propria posizione. Il governo degli Stati Uniti ha sottoposto Abu Zubaydah al waterboarding e ad altre brutalità nel 2002 in siti segreti della Cia in Thailandia e Polonia, credendo erroneamente che fosse uno stretto collaboratore di Osama Benladen, con l’obiettivo di spingerlo a rivelare potenziali nuovi piani di attentati al-Qaeda. Dal 2006 è rinchiuso nella prigione militare Usa a Cuba, senza aver ricevuto accuse formali e senza possibilità di parlare di quello che gli è successo. Ma una stagione giudiziaria così carica di casi dal potenziale epocale si apre con un dato non confortante: la Corte è in clamoroso calo di popolarità. Secondo un sondaggio realizzato da Gallup, solo il 40 per cento degli intervistati promuove il lavoro svolto dai giudici supremi. È il più basso indice di gradimento dal 2000.
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