Il Papa spiega una dinamica comune ad ogni tipo di peccato sociale e ben descritta dalla scuola contro-rivoluzionaria
di Michele Brambilla
Papa Francesco pone al centro del discorso dell’Angelus del 31 luglio la richiesta, rivolta a Gesù nel Vangelo, «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità» (Lc 12,13). Il Pontefice riconosce che «è una situazione molto comune, problemi simili sono ancora all’ordine del giorno: quanti fratelli e sorelle, quanti membri della stessa famiglia purtroppo litigano, e magari non si parlano più, a causa dell’eredità», ma Cristo vi legge un elemento che è anch’esso molto comune: la cupidigia, ovvero «l’avidità sfrenata di beni, il volere sempre arricchirsi. È una malattia che distrugge le persone, perché la fame di possesso crea dipendenza. Soprattutto chi ha tanto non si accontenta mai: vuole sempre di più, e solo per sé».
La cupidigia conduce inevitabilmente a pesanti conseguenze sociali, basti pensare alle lotte innescate nelle famiglie, ma può diventare una rapacità estesa a tutti i beni disponibili sulla terra. Il Papa ci tiene ad evidenziare che «Gesù oggi ci insegna che, al cuore di tutto questo, non ci sono solo alcuni potenti o certi sistemi economici», cambiando i quali, come pensava per esempio il comunismo, “si risolve tutto”, perché «al centro c’è la cupidigia che è nel cuore di ciascuno». Quello che la dottrina sociale della Chiesa chiama “peccato sociale” nasce, quindi, in interiore homine, ovvero da quell’impronta del peccato originale descritto in Genesi e presente in ciascuno di noi. Francesco descrive così la dinamica che intercorre tra le tendenze peccaminose e la costituzione di “strutture sociali di peccato”. Una dinamica messa a fuoco dalla scuola contro-rivoluzionaria (la «Rivoluzione nelle tendenze», scrisse in particolare il pensatore cattolico brasiliano Plinio Correa de Oliveira) fin dagli Esercizi spirituali ignaziani. Descrivendo la cupidigia come un vero e proprio idolo, a cui si presta culto, il Pontefice gesuita, che nella festa di sant’Ignazio di Loyola rivolge un caldo saluto ai suoi confratelli, afferma che Gesù «dice che non si possono servire due padroni, e – stiamo attenti – non dice Dio e il diavolo, no, oppure il bene e il male, ma Dio e le ricchezze (cfr Lc 16,13). Ci si aspetterebbe che dicesse: non si può servire due padroni, Dio e il diavolo. Invece dice: Dio e le ricchezze. Servirsi delle ricchezze sì; servire la ricchezza no: è idolatria, è offendere Dio». Il rimando è chiaramente alla visione delle due bandiere degli Esercizi, adattandola al brano del Vangelo di Luca in esame.
«E allora – potremmo pensare – non si può desiderare di essere ricchi? Certo che si può, anzi, è giusto desiderarlo, è bello diventare ricchi, ma ricchi secondo Dio! Dio è il più ricco di tutti: è ricco di compassione, di misericordia. La sua ricchezza non impoverisce nessuno, non crea litigi e divisioni», ma si estende su tutto e su tutti. La destinazione universale dei beni, per dirla con il linguaggio della dottrina sociale della Chiesa, non contraddice la liceità della proprietà privata, «dipende invece dalle buone relazioni: con Dio, con gli altri e anche con chi ha di meno». Temi che hanno percorso il viaggio in Canada, che sarà oggetto della prima udienza generale del mese di agosto, e rimangono scottanti in Ucraina, dove, «se si guardasse la realtà obiettivamente, considerando i danni che ogni giorno di guerra porta a quella popolazione ma anche al mondo intero, l’unica cosa ragionevole da fare sarebbe fermarsi e negoziare».
Lunedì, primo agosto 2022