di Michele Brambilla
«Nel nostro itinerario di catechesi sulla preghiera», dice Papa Francesco all’udienza generale del 24 giugno, «oggi incontriamo il re Davide. Prediletto da Dio fin da ragazzo, viene scelto per una missione unica, che rivestirà un ruolo centrale nella storia del popolo di Dio e della nostra stessa fede», dato che «nei Vangeli, Gesù è chiamato più volte “figlio di Davide”», che divenne nei secoli uno dei principali epiteti messianici. «Dalla discendenza di Davide, secondo le promesse, viene il Messia: un Re», continua il Pontefice, «totalmente secondo il cuore di Dio, in perfetta obbedienza al Padre, la cui azione realizza fedelmente il suo piano di salvezza».
L’unzione di Davide avvenne proprio nella Betlemme nella quale, dieci secoli dopo, nascerà Gesù. «La vicenda di Davide», infatti, «comincia sui colli intorno a Betlemme, dove pascola il gregge del padre, Iesse. È ancora un ragazzo, ultimo di molti fratelli. Tanto che quando il profeta Samuele, per ordine di Dio, si mette in cerca del nuovo re, sembra quasi che suo padre si sia dimenticato di quel figlio più giovane (cfr 1 Sam 16,1-13)». Ma il Signore, per mezzo di Samuele, cerca proprio quel pastorello.
«Davide», osserva il Pontefice, «lavorava all’aria aperta: lo pensiamo amico del vento, dei suoni della natura, dei raggi del sole. Ha una sola compagnia per confortare la sua anima: la cetra; e nelle lunghe giornate in solitudine ama suonare e cantare al suo Dio»: sapeva quindi cogliere la presenza del Signore nel creato. Francesco aggiunge immediatamente: «giocava anche con la fionda», con la quale il giovane abbatté il filisteo Golia (1 Sam 17,49). È l’inizio di un rapporto con la violenza che, ad un certo punto della sua vita, si trasformerà in vera e propria prevaricazione (emblematico l’affaire Betsabea in 2 Sam 11), ma «la cetra lo accompagnerà sempre: a volte per innalzare a Dio un inno di gioia (cfr 2 Sam 6,16), altre volte per esprimere un lamento, o per confessare il proprio peccato (cfr Sal 51,3)».
Esiste, infatti, un filo rosso che percorre tutta la biografia di Davide, ed è proprio la preghiera: «quella è la voce che non si spegne mai. Davide santo, prega; Davide peccatore, prega; Davide perseguitato, prega; Davide persecutore, prega; Davide vittima, prega. Anche Davide carnefice, prega». E la sua è sempre la preghiera del pastore, perché Davide si sente responsabile di ogni singola pecora della casa di Israele.
La prima preoccupazione dei pastori è infatti quella per l’unità del gregge che hanno in cura. Ecco perché, tracciando un parallelismo con san Giovanni Battista, di cui il 24 giugno ricorre la Natività, il Papa esorta: «impariamo da Colui che fu il precursore di Gesù la capacità di testimoniare con coraggio il Vangelo, al di là delle proprie differenze, conservando la concordia e l’amicizia che fondano la credibilità di qualsiasi annuncio di fede». Anche nella Chiesa ci si divide, spesso, in fazioni che cercano di vagliare la purezza dottrinale dei “rivali”. La vicenda di Davide ci insegna, invece, che neppure i santi sono esenti dal peccato, ma non hanno mai perso la fiducia nella misericordia del Signore. Come afferma il Papa, «tutto può diventare parola rivolta al “Tu” che sempre ci ascolta».
Giovedì, 25 giugno 2020