Di Marina Casini da Avvenire del 16/12/2021
È interessante che oggi si torni a parlare con tanta insistenza e preoccupazione di denatalità. Fino a non molto tempo fa in Europa vi era un grandissimo allarme per un generale aumento della popolazione ritenuto non sostenibile con le risorse della Terra. Tutti conosciamo le teorie malthusiane secondo cui il pianeta intero sarebbe piombato nella miseria e nella fame per l’impossibilità di fornire il cibo a un numero esagerato di esseri umani. Paul Ehrlich, nel suo libro The Population Bomb, affermò che il rapido incremento della popolazione avrebbe potuto creare una crisi e auspicò politiche antinataliste coercitive da applicare a livello globale, al fine di evitare una catastrofe. Frederick Jaffe, vicepresidente della International Planned Parenthood Federation, redasse un memorandum per ridurre la popolazione indicando come linee strategiche aborto, sterilizzazione, propaganda in favore dell’omosessualità, posticipazione del matrimonio o sua cancellazione, distribuzione gratuita di contraccettivi senza prescrizione medica.
Oggi, almeno in Occidente, è diffusa una preoccupazione opposta: quella della denatalità. Si suggeriscono rimedi finanziari, occupazionali, abitativi, programmi di conciliazione lavoro-famiglia e sussidi di vario genere, congedi parentali, la disponibilità di asili nido, le ‘politiche di genere’ per l’occupazione femminile, i bonus bebè. È contraddittorio che la questione aborto non entri in scena. In Italia in quarant’anni in nome della legge 194 è stata impedita la nascita sei milioni di bambini. Se oggi ci fossero sei milioni di figli in più non esisterebbe la paura del crollo delle nascite. Sappiamo che non è facile sconfiggere totalmente il dramma dell’aborto, ma se soltanto la metà dei bambini abortiti fosse stata salvata la situazione sarebbe diversa. Bisogna poi aggiungere l’enorme numero di figli appena concepiti a cui è stata tolta la vita mediante la cosiddetta ‘contraccezione postcoitale’ la quale – come ormai è accertato da molti studi – se il concepimento è avvenuto impedisce al concepito di trovare accoglienza nell’utero materno.
Sembra dunque giunto il momento di un serio ripensamento sull’aborto, quanto meno sostenendo il volontariato impegnato ad aiutare le donne che subiscono una spinta all’aborto dall’ambiente in cui vivono e anche da difficoltà di vario genere. In questa prospettiva i Centri di aiuto alla Vita potrebbero essere inseriti nella strategia dello Stato e delle istituzioni locali. Sul modello dei Cav sembra urgente anche una profonda revisione della funzione dei consultori familiari pubblici, trasformati nella maggioranza dei casi in strumenti di accompagnamento verso l’aborto. Se fossero completamente sottratti all’iter abortivo e venisse loro restituita la funzione originaria di essere luoghi di sostegno alla donna affinché porti a termine la gravidanza superando le difficoltà, prevedibilmente sarebbe vinto il crollo delle nascite. Soprattutto l’inverno demografico ci chiede di riflettere in profondità sul significato e sul valore del figlio (novità assoluta, capolavoro della creazione, senso della storia, speranza nel futuro orientato al Bene, parola d’amore di Dio) e della maternità durante la gravidanza (abbraccio che mette il sigillo dell’amore sulla vita umana). Madre Teresa ripeteva che «quel piccolo bambino non ancora nato è stato creato per una grande cosa: amare ed essere amato». Per questo esiste il Movimento per la Vita italiano composto dalle sedi locali, dai Cav, dalle Case di accoglienza, da Progetto Gemma, da Sos Vita. I Centri di aiuto alla Vita hanno aiutato a nascere circa 250.000 bambini, restituendo gioia e serenità alle loro mamme. È ragionevole immaginare che, se i Centri di aiuto alla Vita fossero stati fatti conoscere di più e se lo Stato e gli enti locali li avessero aiutati anziché censurarli e contrastarli, il numero di vite salvate si sarebbe triplicato e non vi sarebbe stata questa grave crisi demografica. Tutta la società è chiamata a farsi grembo di ogni madre in difficoltà di fronte all’accoglienza di una nuova vita e a farsi grembo di ogni altra fragilità. È bello che i giovani abbiano pensato al prossimo concorso europeo collegandolo al tema dell’inverno demografico, ma con la prospettiva di una nuova primavera che sorge dalla contemplazione della meraviglia della vita umana. È importantissima un’azione culturale che sappia coinvolgere ragazze e ragazzi nella riflessione sulla vita nascente a cui si riconnette non solo il significato della sessualità, ma anche un autentico rinnovamento in tutti i settori della vita sociale.