di Michele Brambilla
Così s’intitola la mostra aperta al Palazzo Reale di Milano (sul fianco destro del Duomo) il 29 settembre, destinata a chiudersi il 28 gennaio, che è la più grande mai allestita in città su Michelangelo Merisi detto Caravaggio (1571-1610), milanese d’origine, tra i pittori più influenti e amati del Seicento. È visitabile sia su prenotazione (con il privilegio della guida) sia liberamente (biglietto d’ingresso ridotto sotto i 25 anni).
L’obbiettivo dell’esposizione è introdurre il visitatore dentro le tele con i “trucchi del mestiere”. Fin dallo scalone d’onore si possono consultare depliant che illustrano le tecniche di diagnostica artistica impiegate per studiare i capolavori prima dell’esposizione. Oggettivamente, però, i discorsi prolissi su fluorescenza indotta, rifletto-grafia e cose così catturano molto meno dei quadri stessi, i quali invece parlano di un altro percorso d’introspezione, da compiersi nell’anima di Caravaggio, uomo irruento e sempre in fuga, quanto altrettanto potentemente assetato d’Infinito.
Il percorso della mostra impatta subito con due realtà: la prima, evocata dalle scritte sulle pareti, tutte citazioni di fonti dell’epoca, suppone un approdo del pittore a Roma dopo avere commesso, a Milano, il primo degli omicidi che connotano la sua vicenda umana; la seconda è Giuditta e Oloferne (1599-1602), tela immaginata appositamente per colpire lo spettatore con il gesto “fisico” e violento dell’eroina biblica, ma allo stesso tempo con il tentativo, altrettanto evidente, di leggere l’interiorità dei personaggi. Oloferne è il peccatore incallito, sicuro dell’impunità, sorpreso dalla punizione che gli viene da una vedova di Gerusalemme che si era finta sua amante, la quale porta invece in volto la serenità di chi sta compiendo la volontà di Dio. Era forse un giudizio che il pittore dava sia su se stesso sia sulla vita dissoluta del committente, un banchiere genovese di cui l’attrice-modello che personificava Giuditta era l’amante?
La serenità dello stato di grazia avvolge invece completamente le tele 4 e 5 nella sala accanto, la Maddalena penitente e il celebre Riposo durante la fuga in Egitto, entrambe del 1597. Nel primo, il calore dei capelli di santa Maddalena trasmette quello dello Spirito Santo. E anche lo spartito che san Giuseppe aiuta l’angelo a suonare nel Riposo durante la fuga in Egitto rappresenta il cammino di ogni uomo illuminato dal progetto di salvezza di Dio. Poi c’è il San Francesco in estasi (1598-1599), l’ultima tela che esprime la quiete interiore della seconda sala.
Fra un quadro e l’altro, gli spunti biografici del pittore offrono occasioni di riflessione. Caravaggio abbandonerà infatti la bottega in cui era stato accolto al suo arrivo nella Città Eterna per ostentare la propria raggiunta maturità artistica, ma è il momento in cui ricominciano anche i suoi problemi giudiziari. Nelle sale della mostra milanese alcune teche espongono documenti originali quali i contratti di lavoro del Merisi e i rapporti di polizia che attestano il peggiorare della sua fedina penale a Roma.
Ora, accanto al suo costante interesse per la figura di san Francesco d’Assisi, in Caravaggio si nota un virare sempre più pensoso verso i temi della Passione del Signore, come esemplificato dal Sacrificio di Isacco (1603), che ne è tradizionalmente una prefigurazione. Il culmine è costiutito da l’Incoronazione di spine (ma c’è chi ritiene sia una Flagellazione) del 1607, tela preparata per il convento di San Domenico maggiore a Napoli, città davvero carnale nella quale Merisi cerca riparo dopo l’ennesima rissa con tanto morto scoppiata a Roma. In questa tela napoletana, Gesù si staglia vigoroso e luminoso in mezzo agli sgherri che lo premono, avvinto alla colonna eppure silenziosamente vincitore. Come nella Madonna dei pellegrini (1604-05), dove una Vergine con il Bambino in abiti domestici accoglie due pellegrini scalzi sulla soglia della casa di Loreto: la sicurezza della grazia anche dopo un tortuoso viaggio esistenziale!
Ebbene, Caravaggio non dura molto però neanche a Napoli. Eccolo infatti di nuovo in fuga verso Malta, dove incontra l’esemplarità della cavalleria medioevale, innamorandosene. I quadri del periodo maltese descrivono una vera e propria passione per l’ideale cavalleresco, verso il quale il nonostante tutto cattolico tridentino Caravaggio, cresciuto nella Lombardia dei Borromeo, sembra dimostrare una propensione innata.
La mostra si chiude con il Martirio di sant’Orsola (1607-10), la scena di martirio meno sanguinosa della vita artistica di Caravaggio e della storia dell’arte (il sangue è solo un piccolissimo fiotto che esce da una sant’Orsola serenamente ritta in piedi). Michelangelo Merisi trova finalmente riposo nel difendere la Cristianità da islamici e luterani, contro i quali espone la bellezza appagante e la tenacia dei santi cattolici. E così facendo lascia pure ai giovani d’oggi un monito fondamentale: non si vive bene senza qualcosa o Qualcuno che spieghi il nostro essere nel mondo.