Di Antonio Socci da Libero del 29/05/2024
Papa Francesco è stato “scomunicato” dall’Inquisizione dell’ortodossia giornalistica. Ma siamo proprio sicuri che – dietro le
polemiche sulla nota battuta – non ci sia dell’altro? Il vero tema – ignorato dai giornali – è piuttosto (come vedremo) lo
scontro fra il Pontefice e la Cei a guida zuppiana. E forse – come suggerisce qualcuno – sono venuti al pettine i nodi fra
una presidenza della Cei che ha dichiarato guerra aperta sulle riforme istituzionali all’attuale premier – tirando la volata al
Pd per le elezioni europee – e un Papa che invece continua ad avere, com’è noto, un grande rapporto di simpatia e di
stima proprio con Giorgia Meloni (presente anche domenica alla messa del Pontefice). Cerchiamo di capire. Il pretesto
della scomunica – per il tribunale del politicamente corretto – è stata l’espressione che Francesco ha usato (probabilmente
per la scarsa conoscenza dell’italiano e delle sue sfumature) parlando dell’ammissione di giovani nei seminari in
riferimento all’eventuale orientamento omosessuale. Quelle parole – pronunciate a porte chiuse e fatte trapelare da
qualche vescovo che voleva creare il caso – hanno scatenato il finimondo e al Papa non è stato risparmiato niente. È
andato su tutte le furie il salotto intellettuale progressista che fino a ieri si spellava le mani per applaudire il Pontefice come
se fosse il loro portavoce supremo. Era il tempo in cui Massimo D’Alema dichiarava ai quattro venti che «in questo
momento il principale leader della sinistra è il Papa». Di colpo tutto cancellato. Tutti si stracciano le vesti. Tutti indignati
speciali. Vito Mancuso ha tuonato sulla Stampa chiedendo le scuse del Papa e dichiarando il fallimento del suo pontificato.
Massimo Gramellini, sul Corriere della Sera, ha chiamato sarcasticamente in causa Bombolo, augurandosi che “dal
Paradiso interceda per lui” (cioè per il Papa). Anche Massimiliano Panarari sulla Stampa sostiene che il Papa ha «virato
bruscamente nella direzione lessicale di un cinepanettone nell’età del vannaccismo» (sono evocati pure i film di Christian
De Sica e Massimo Boldi). LA QUALITÀ Questo è il livello dell’attacco contro Francesco. Nessuno riflette sulla
schiacciante responsabilità che grava sulle spalle di un Pontefice che, in questa cupa epoca di scristianizzazione e di crisi
del clero, mentre il mondo è in fiamme, è preoccupato per i suoi sacerdoti. Nessuno medita sulla responsabilità planetaria
drammatica che incombe su chi guida una Chiesa che in tanti Paesi è perseguitata nell’indifferenza della comunità
internazionale e dell’Onu: proprio ieri, per esempio, si è saputo che in Congo quattordici cristiani, molti dei quali
giovanissimi, sono stati ammazzati da miliziani affiliati allo Stato islamico perché si sono rifiutati di convertirsi all’Islam. Un
dramma in corso da tempo in diversi paesi. Ma ieri si è scatenata una tempesta sul Papa per una battuta forse dovuta alla
scarsa conoscenza dell’italiano. Lui, ha precisato la sala stampa, «non ha mai inteso offendere o esprimersi in termini
omofobi, e rivolge le sue scuse a coloro che si sono sentiti offesi per l’uso di un termine, riferito da altri». Soprattutto
Francesco ripete ancora una volta che «nella Chiesa c’è spazio per tutti, per tutti!». Però che in poche righe ci sia la
sottolineatura della riunione “a porte chiuse” e di «un termine riferito da altri» fa capire l’umore del Pontefice. Quella del 20
maggio era infatti una riunione riservata con i vescovi italiani. Si discuteva di ammissione ai seminari. La linea era stata
definita nel 2005 da Joseph Ratzinger: «La Chiesa pur rispettando profondamente le persone in questione, non può
ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali
profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay». Papa Francesco aveva confermato queste direttive nel 2016. Ma in questi mesi la Cei – sotto la guida del card. Zuppi – ha approvato a maggioranza un emendamento che cambia quelle norme. Quando l’emendamento “progressista” è stato sottoposto al Papa, come si è detto, Francesco lo ha bocciato drasticamente e – seppure sottolineando il rispetto che si deve a tutti – ha confermato sui Seminari l’indicazione di Benedetto XVI e sua, mettendo in guardia i vescovi sull’aria che tira. Un grosso smacco per la Cei che ora dovrà attenersi alle indicazioni del Pontefice. Ma soprattutto una clamorosa sconfessione per il “progressista” Zuppi che in questi giorni sta anche portando la Cei dentro la mischia della campagna elettorale per le europee, entrando pure nelle polemiche sulle riforme del premierato e dell’autonomia differenziata. Il centrodestra ritiene che sia un’indebita intromissione ecclesiastica in materie estranee al magistero ed Ezio Mauro, già direttore di Repubblica, ha trionfalmente confermato da sinistra che con Zuppi «la Chiesa torna nel cuore del discorso pubblico, partecipando come soggetto attivo». Sennonché l’ostacolo è di nuovo papa Francesco che già all’inizio del suo pontificato, nel maggio 2015, bocciò drasticamente l’interventismo dei vescovi in politica. Fu una svolta storica. Dichiarò che i laici devono prendersi “le responsabilità che a loro competono”. I laici, spiegò il Papa «che hanno una formazione cristiana autentica, non dovrebbero aver bisogno del vescovo-pilota, o del monsignore-pilota o di un input clericale per assumersi le proprie responsabilità a tutti i livelli, da quello politico a quello sociale, da quello economico a quello legislativo!». Si riferiva all’eccesso di interventismo della Cei su temi politici estranei alla Chiesa (come le riforme istituzionali), non agli interventi dei vescovi sulle materie che toccano i diritti dell’uomo o direttamente la Chiesa. Come si è visto nel giugno 2021 quando la Segreteria di Stato vaticana è intervenuta contro il Ddl Zan. E come si vede anche dalle parole che il Papa ha indirizzato, proprio ieri, alla Manifestazione per la vita che si terrà il 22 giugno prossimo. L’ESORTAZIONE In esso il Papa ringrazia tutti coloro che verranno a Roma per “l’impegno e la testimonianza pubblica a difesa della Vita umana dal concepimento alla morte naturale” e li esorta ad “andare avanti con coraggio nonostante ogni avversità”, perché, sottolinea, «la posta in gioco, cioè la dignità assoluta della Vita umana, dono di Dio Creatore, è troppo alta per essere oggetto di compromessi o mediazioni. Sulla Vita umana non si fanno compromessi!». Questo sì è un tema che riguarda la Chiesa. Non il premierato. Il card. Zuppi ora dovrebbe far arrivare queste parole del Pontefice a tutti gli italiani e a quei partiti del centrosinistra che, al Parlamento europeo, hanno votato per introdurre l’aborto nella Carta dei diritti. Ma non lo farà