di Michele Brambilla
In occasione della prima Giornata mondiale dei poveri. Papa Francesco decide di presiedere personalmente la celebrazione principale nella basilica di San Pietro in Vaticano, alla quale fa seguito un pranzo offerto a un gran numero di bisognosi all’interno dell’Aula Paolo VI.
La pagina di Vangelo del giorno è la parabola dei talenti (Mt 25,14-30), alla quale il Pontefice si ricollega per spiegare il senso appunto della Giornata dei poveri, premettendo che «[…] tutti siamo mendicanti dell’essenziale, dell’amore di Dio, che ci dà il senso della vita e una vita senza fine». I talenti ci sono dati affinché siano messi a frutto a favore dei fratelli. L’errore del servo malvagio è immaginare un “Dio-esattore” pignolo e soffocante. «Anche noi spesso siamo dell’idea di non aver fatto nulla di male e per questo ci accontentiamo, presumendo di essere buoni e giusti. Così, però, rischiamo di comportarci come il servo malvagio: anche lui non ha fatto nulla di male, non ha rovinato il talento, anzi l’ha ben conservato sotto terra», ma così lo ha reso perfettamente inutile.
L’ateismo moderno considera Dio l’antagonista dei talenti dell’uomo. Egli, invece, «[…] non è un controllore in cerca di biglietti non timbrati, è un Padre alla ricerca di figli, cui affidare i suoi beni e i suoi progetti (Mt 25,14). Ed è triste quando il Padre dell’amore non riceve una risposta generosa di amore dai figli, che si limitano a rispettare le regole» senza mettervi il cuore (Lc 15,17).
Come poi il santo Padre ripete all’Angelus , in piazza San Pietro, «se dentro di noi c’è questa immagine sbagliata di Dio», quella del giudice implacabile delle nostre azioni, «[…] allora la nostra vita non potrà essere feconda, perché vivremo nella paura e questa non ci condurrà a nulla di costruttivo, anzi, la paura ci paralizza, ci autodistrugge. Siamo chiamati a riflettere per scoprire quale sia veramente la nostra idea di Dio».
Già nell’Antico Testamento «[…] Egli si è rivelato come “Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà” (Es 34,6). E Gesù ci ha sempre mostrato che Dio non è un padrone severo e intollerante, ma un padre pieno di amore, di tenerezza, un padre pieno di bontà. Pertanto possiamo e dobbiamo avere un’immensa fiducia in Lui». Certamente è Re, ma un re che per i suoi sudditi sale sulla croce, insegnando loro la via del servizio che si dona completamente. La XXXIII domenica del Tempo ordinario ci educa, quindi, a conformarci a questa particolare modalità di regnare «[…] perché noi non sprechiamo inutilmente la nostra vita» dietro agli idoli e disprezzando gli altri.
Il Papa presenta la pagina di Matteo anche come un monito teologico contro la ricerca spasmodica di «[…] soluzioni sicure e garantite», che tradisce, in realtà, una profonda sfiducia nello Spirito Santo e un’incomprensione del carattere dinamico della tradizione ecclesiale, che va investita come i talenti della parabola e contempla la legge della gradualità, ovvero la dimensione temporale. I pastori devono imitare la pazienza del Padre, che non ha l’ansia dei risultati, ma sicuramente valuta l’atteggiamento con il quale siamo andati incontro al fratello.