Il Papa, riallacciandosi all’imperativo missionario richiamato nella domenica di Cristo Re, indica il modello dei primi cristiani, affinché la preghiera riacquisti la sua centralità nelle parrocchie.
di Michele Brambilla
La chiave interpretativa dell’udienza generale del 25 novembre è identificabile nelle parole con cui Papa Francesco si rivolge ai cattolici italiani: «la festa di Cristo Re, che abbiamo celebrato domenica, a conclusione dell’anno liturgico, vi renda consapevoli che Cristo ci ha liberati dal potere delle tenebre, per inserirci nel suo Regno, e fare di noi testimoni credibili della Verità salvifica».
Cosa significhi essere testimoni credibili del Vangelo lo esemplificano bene i primi cristiani: «i primi passi della Chiesa nel mondo sono stati scanditi dalla preghiera. Gli scritti apostolici e la grande narrazione degli Atti degli Apostoli ci restituiscono l’immagine di una Chiesa in cammino, una Chiesa operosa, che però trova nelle riunioni di preghiera la base e l’impulso per l’azione missionaria». L’apostolato delle prime comunità cristiane scaturiva per sua stessa natura dall’Eucaristia condivisa nel giorno del Signore: «“Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere” (At 2,42)».
Troviamo qui, dice il Pontefice, le fondamenta della Chiesa medesima, senza le quali non si dà un’autentica comunità cristiana: «[…] l’ascolto dell’insegnamento degli apostoli, primo; secondo, la custodia della comunione reciproca; terzo, la frazione del pane e, quarto, la preghiera». Il Santo Padre ribadisce che «tutto ciò che nella Chiesa cresce fuori da queste “coordinate”, è privo di fondamenta», o si traduce in visioni unilaterali di quel che dovrebbe essere/fare il cattolico. Occorre ricordarsi sempre che «la Chiesa non è un mercato; la Chiesa non è un gruppo di imprenditori che vanno avanti con questa impresa nuova», come se tutto dipendesse dai loro sforzi personali: «la Chiesa è opera dello Spirito Santo, che Gesù ci ha inviato per radunarci. La Chiesa è proprio il lavoro dello Spirito nella comunità cristiana, nella vita comunitaria, nell’Eucaristia, nella preghiera, sempre. E tutto quello che cresce fuori da queste coordinate è privo di fondamento, è come una casa costruita sulla sabbia (cfr Mt 7,24-27)», perché «è Dio che fa la Chiesa, non il clamore delle opere» compiute dagli uomini, per quanto benintenzionate.
Il Papa confida che «a volte, sento una grande tristezza quando vedo qualche comunità che, con buona volontà, sbaglia la strada perché pensa di fare la Chiesa in raduni, come se fosse un partito politico: la maggioranza, la minoranza, cosa pensa questo, quello, l’altro». Ci sono alcuni cattolici che affermano: «“questo è come un Sinodo, una strada sinodale che noi dobbiamo fare”. Io mi domando: dov’è lo Spirito Santo, lì? Dov’è la preghiera? Dov’è l’amore comunitario? Dov’è l’Eucaristia? Senza queste quattro coordinate, la Chiesa diventa una società umana».
Francesco è fermo nel richiamare tutti alla centralità della preghiera: non serve a nulla organizzare la più mirabolante delle feste d’oratorio, se i ragazzi del catechismo non sanno inginocchiarsi davanti al SS. Sacramento. «Dobbiamo», allora, «riprendere il senso dell’adorazione. Adorare, adorare Dio, adorare Gesù, adorare lo Spirito», perché «la preghiera dell’adorazione è la preghiera che ci fa riconoscere Dio come inizio e fine di tutta la storia».
Giovedì, 26 novembre 2020