Il Santo Padre Francesco ha incontrato il 30 aprile l’Azione Cattolica italiana nel 150° anniversario della sua nascita.
Quando noi pensiamo all’Azione Cattolica abbiamo in mente una associazione laicale ben specifica, che oggi è presente in alcune parrocchie, divisa per età e che viene sponsorizzata da alcuni parroci i quali, una volta all’anno, invitano i fedeli a iscriversi a questa realtà. Raramente ne sentiamo parlare in altre occasioni, per esempio per quanto riguarda i grandi avvenimenti culturali e politici della nazione, che meriterebbero un giudizio da parte del laicato.
Non è sempre stato così.
C’è una azione cattolica scritta senza la maiuscola che indica la presenza dei laici cattolici nella storia italiana, dopo il Risorgimento, che coincide con il termine movimento cattolico e che è cosa in parte diversa dall’ACI. Questa presenza nacque, appunto, 150 anni fa, nel 1867, dall’iniziativa di due giovani, Giovanni Acquaderni (1839-1922) e Mario Fani (1845-1869), che vollero unire insieme i giovani cattolici nella difesa del Papa, che era ancora il capo dello Stato della Chiesa, dalla minaccia del Regno d’Italia, che poi si concretizzerà con l’invasione dell’esercito italiano nel 1870, con la Breccia di Porta Pia.
Nacque così la Società della Gioventù Cattolica Italiana che poi, nel 1874 , aderirà all’Opera dei Congressi, la prima autentica organizzazione nazionale del laicato cattolico, che esisterà fino al 1904, quando verrà sostituita da quattro diverse associazioni rivolte a diversi ambiti, la più famosa delle quali sarà l’Unione elettorale che darà vita al Patto Gentiloni del 1913, con il quale entreranno in Parlamento 228 deputati, grazie al voto determinante dei cattolici.
Soltanto dopo la Prima guerra mondiale, in seguito alla fondazione del Partito popolare di don Luigi Sturzo (1871-1959), nascerà l’Azione cattolica come oggi la conosciamo, un’associazione di laici dipendente dalla Gerarchia, basata su adesioni individuali, mentre le precedenti realtà erano ”associazioni di associazioni”.
E questa Azione cattolica, la “pupilla degli occhi” di papa Pio XI, che la difese strenuamente durante il fascismo dalle pretese totalitarie del regime, conobbe una grande stagione di presenza pubblica dopo la fine della Seconda guerra mondiale quando dal suo seno, per iniziativa del Pontefice Pio XII e di Luigi Gedda (1902-2000) nacquero i Comitati civici, artefici principali della vittoria elettorale del 18 aprile 1948.
Una associazione, l’ACI, di oltre tre milioni di iscritti, che curava la formazione personale ma aveva anche un ruolo pubblico importante nel Paese, ma che conobbe un progressivo calo di iscritti e di importanza a partire dagli anni Sessanta, quando entrò in vigore la ”scelta religiosa”, con la quale si volle mettere fine all’impegno, giudicato troppo esposto politicamente in senso anticomunista, dell’ACI guidata da Gedda, che nel frattempo era diventato Presidente nazionale (1952-1959). In realtà la “scelta religiosa” nascondeva una opzione culturale e politica alternativa, sbilanciata a sinistra, come dimostrerà l’esito partitico dei principali dirigenti dell’ACI, ma il vero problema, il nodo ancora oggi irrisolto, riguarda la domanda se il movimento cattolico deve mirare a costruire “una società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio”, per usare le parole di San Giovanni Paolo II, oppure deve limitarsi a testimoniare il Vangelo in una società ritenuta non modificabile e quindi accettare ogni compromesso con i potenti di turno.
Il Papa ha comunque ricevuto l’Azione cattolica di oggi, con gli attuali dirigenti e ha rivolto loro un discorso ricco di spunti, che ha già presentato Michele Brambilla sul nostro sito.
C’è però un punto sul quale voglio ritornare, perché mi sembra di grande rilevanza culturale e apostolica, che investe tutto il mondo cattolico, dai movimenti e associazioni alle stesse parrocchie.
Papa Francesco invita tutti alla missione, a ”uscire” dalle proprie sacrestie, sia quelle parrocchiali sia quelle dei propri movimenti, e ad andare nelle periferie del mondo contemporaneo, dove ci sono i poveri da assistere ma anche i poveri da aiutare a convertirsi. Questo è il vero punto di svolta: riuscire a creare una mentalità missionaria in quella minoranza che ancora frequenta le parrocchie e così convincere queste ultime a non essere solo dei distributori di aiuti spirituali e materiali (che è già molto), ma a diventare un’avanguardia missionaria in un territorio ostile o almeno indifferente.
Ci potranno essere strategie differenti, così come differenti sono state nel corso di questi 150 anni, ma la domanda alla quale bisogna rispondere è se presentare la bellezza e la verità di Cristo, Signore della storia e Re dei popoli, è la notizia più bella che dobbiamo comunicare al nostro prossimo, oggi come sempre.
Marco Invernizzi
Foto Radio Vaticana