di Marco Invernizzi
Le elezioni regionali in Emilia-Romagna sono state caricate di tali aspettative che meritano alcune riflessioni. Una in particolare ha a che fare con l’identità culturale e politica, centrale in questo momento storico.
La quasi scomparsa del Movimento5Stelle (M5S) è l’indicatore principale del fatto che, senza costruire un minimo di radicamento, oggi i leader e i movimenti politici scompaiono altrettanto velocemente di come siano apparsi e abbiano conquistato la scena politica. Si pensi a Mario Monti e a Matteo Renzi, che erano assurti a “salvatore della patria” il primo e a “conquistatore del consenso” il secondo: oggi il primo è rientrato nei ranghi di potente tecnocrate qual era, mentre il secondo, l’uomo del 40% alle elezioni europee del 2014, si arrabatta attorno al 5% alla guida di un nuovo partito. Figure, queste, che non hanno saputo o voluto tentare di costruire una identità forte per il proprio partito, preferendo inseguire i consensi solo attraverso temi a forte impatto emotivo; e così, nel momento delle difficoltà, il partito si è sciolto.
Si dirà che sono fenomeni tipici dell’epoca del relativismo e che per vincere le elezioni oggi è necessario cavalcare i grandi temi dell’immigrazione e della sicurezza, poiché questi stanno a cuore alle persone e le spingono a votare da una parte o dall’altra. È vero, ma non basta. Se accanto a questa propaganda non si costruisce uno zoccolo duro identitario attorno a una visione del mondo che rimane anche quando finiscono i temi forieri di grande consenso, se non si semina prima formando internamente, quel partito, qualunque partito sarà destinato a rapidi saliscendi elettorali.
Secondo punto. Rimane un dato costante che il Centro-sinistra ottenga consensi maggiori nelle aree urbane e il Centro-destra nei piccoli paesi periferici. Questo avviene nelle grandi città del nord e anche all’interno stesso di quelle città, nelle quali le periferie votano a destra rispetto alle zone centrali, che preferiscono le Sinistre. Questo dato è confermato in maniera evidente dalle elezioni emiliano-romagnole: il Partito Democratico è sempre di più un partito ZTL, che prende voti dove la pancia è piena. Lascio la parola all’Istituto Cattaneo: «Il Pd risulta più debole nei comuni marginali, appenninici e periferici (con il 33,8% dei voti), mentre raggiunge le punte più alte di consenso nei grandi “poli” urbani, dove si attesta al 50%. Per la Lega, lo scenario è completamento capovolto: le migliori prestazioni elettorali si osservano nei comuni periferici (45,5%) o ultraperiferici (43,8%), mentre il consenso per il partito di Salvini “crolla” di oltre 16 punti percentuali nelle grandi città.
Questi dati segnalano, così, l’esistenza di “due Emilie”, molto diverse tra loro per profilo geografico, peso demografico e comportamento elettorale. Alle ultime elezioni Europee, era stata l’Emilia-Romagna periferica e appenninica a prevalere, favorendo il successo della Lega. Al contrario, in questa tornata elettorale, la “seconda Emilia-Romagna”, quella centrale e urbana, si è presa una rivincita nelle urne, portando alla vittoria Bonaccini e lo schieramento di centrosinistra».
Naturalmente non bisogna tirarne conseguenze eccessive, ma l’indicazione è importante. L’Emilia-Romagna non è più una “regione rossa” perché è diventata contendibile e il voto di lista mostra come il Centro-destra sia arrivato al 45%, quindi quasi alla metà dei voti. Tuttavia rimane una regione dove il potere accumulato in settant’anni di governo “rosso” ha la sua importanza, appunto soprattutto nelle grandi città, dove c’è più ricchezza e burocrazia, là dove vive normalmente la classe dirigente.
Questo dovrebbe aiutare i partiti di Centro-destra a riflettere sull’origine principale del loro consenso: comunità piccole, lontane dai centri del potere, dove i princìpi fondamentali del bene comune hanno ancora un significato e dove l’ideologia trasgressiva LGBT e la lettura ideologica della difesa dell’ambiente proposta dall’ecologismo incidono meno rispetto a quanto facciano nelle grandi città anonime. Questo vale in particolare per la Lega, che su questo tipo di consenso ha costruito le proprie vittorie in Lombardia e in Veneto. Ma comporta delle conseguenze: esprimere candidati e leader coerenti con questa configurazione del proprio elettorato. Candidati che siano affidabili sui valori, ma anche sulla capacità di governo. È evidente come, contro Stefano Bonaccini, il Centro-destra, e Matteo Salvini in particolare, abbiano condotto una campagna elettorale di tipo nazionale, poco attenta alle problematiche inerenti a una Regione. E purtroppo questo ha inciso, o è stato comunque così percepito dalla gran parte degli elettori. La centralità della famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e una donna, la sacralità della vita, la lotta contro la droga, la libertà delle piccole comunità a cominciare da quella dei genitori di scegliere la scuola dei propri figli senza oneri ulteriori, ma anche il buon governo che permette al Centro-destra di governare da decenni ininterrottamente in Lombardia e in Veneto, sono princìpi e questioni che possono e che devono essere più visibili in chi si candida a rappresentare questi territori. Non sempre però questo è accaduto.
L’ultima osservazione riguarda la questione demografica. Non c’è dubbio che i partiti di Centro-destra siano più sensibili degli altri al tema del suicidio demografico italiano. Ma se il tema rimane solo pre-elettorale, senza tradursi nella presentazione di leader e di candidati credibili sul punto, tutto rischia di apparire un valore buono solo per la strumentalizzazione.
Martedì, 28 gennaio 2020