Da Il Tempo del 31/03/2018. Foto da Ilgiornale.it
Lo scorso 23 febbraio Papa Francesco ha regalato a Eisham una corona del Rosario perché la consegnasse alla mamma Asia Bibi, condannata a morte in quanto cristiana in Pakistan, e lì detenuta dal 2009. Quel giorno ero a fianco della giovane e del padre Ashiq: nei loro occhi ho colto la gioia per il tempo che il Santo Padre dedicava nell’udienza privata concessa qualche ora prima dell’illuminazione di rosso del Colosseo, e per le parole che pronunciava. Ma Ashiq ed Eisham erano consapevoli che quell’oggetto sacro, benedetto dal Vicario di Cristo, non sarebbe rimasto nelle mani di Asia, poiché le sarebbe stato presto sottratto dallo zelo “ antiblasfemo” dei carcerieri. Invece, come la sua famiglia ha poi raccontato ad Aiuto alla Chiesa che soffre, per la prima volta in nove anni ad Asia è stato permesso di tenere in cella un simbolo religioso cristiano, che – così lei ha detto alla figlia – è «di grande consolazione», come le è di
conforto «sapere che il Santo Padre prega per me e pensa a me in queste difficili condizioni». Questa madre di quattro figli è rea di aver offerto dell’acqua a un gruppo di donne musulmane durante una giornata particolarmente calda, e per questo di
aver violato la legge pakistana sulla blasfemia: da “impura”, avrebbe contaminato delle fedeli dell’Islam. Diversamente da quanto accaduto per tanti altri casi, rimasti sconosciuti, la pena capitale pronunciata nei suoi confronti non è stata eseguita perché
sulla sua vicenda si è sollevata l’attenzione del mondo.
Pensiamo a quanto bene potremmo fare ai fratelli che soffrono a causa della fede se ci interessassimo della loro sorte. Se mostrassimo maggiore sensibilità perle loro esigenze: sono migliaia i cristiani copti che in Egitto ogni domenica percorrono a piedi chilometri e chilometri per assistere alla S. Messa; i sacerdoti sono pochi e gli edifici sacri ancora di meno. Se ci rendessimo conto che “aiutarli a casa loro” è una formula vuota quando la casa non c’è più: come accade ai cristiani di Mosul, le cui abitazioni sono state distrutte dallo Stato Islamico allo scopo di rendere impossibile il ritorno in terre nelle quali si parla ancora l’aramaico, la lingua di Gesù. Se allungassimo lo sguardo Oltreoceano, alla martoriata Chiesa del Venezuela, «l’unica istituzione che rimane credibile per la sua presenza tra la gente», come ha dichiarato di recente monsignor Raul Biord Castillo, vescovo di La Guaira: grazie al regime di Maduro, che conta simpatizzanti fra i media e
le elité occidentali, «la fame e la povertà mietono tante vittime innocenti (…). Nelle parrocchie ci sforziamo di offrire a migliaia di venezuelani un piatto di minestra solidale o qualcosa in più». Se ricordassimo che Kim Jong Un è una minaccia non soltanto
per le armi nucleari, ma anzitutto per l’immenso gulag nel quale il totalitarismo che guida ha ridotto la Corea del Nord, e che nei suoi lager sono detenuti in larga parte fedeli
cristiani.
In troppe aree nel mondo il Venerdi santo dura tutto l’anno. Troppi luoghi nel pianeta sono oggi i nuovi Colossei. E non pensiamo che siano così distanti da poterli ignorare: Jacques Hamel, sacerdote cattolico, e Arnaud Beltrame, tenente colonnello della Gendarmerie, sono stati uccisi dal terrore islamico il primo il 26 luglio 2016 sull’altare della chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, mentre celebrava Messa, il secondo il 23 marzo 2018 a Trebes, dopo essersi offerto ostaggio al posto di una donna, entrambi nella vicina Francia. Sostenendo i nostri fratelli perseguitati a causa della Croce aiutiamo noi stessi, e forse evitiamo a noi la sorte che loro subiscono per la nostra indifferenza.
Alfredo Mantovano