di Stefano Chiappalone
Due immagini raffiguranti due città – per certi versi simili, per altri in netto contrasto tra loro – si mescolano alle riflessioni ancora incerte sul pre e post “confinamento” (denominazione autarchica del più noto lockdown). I rispettivi autori sono vissuti qualche secolo prima dell’emergenza sanitaria in corso e delle conseguenti misure di distanziamento sociale, pertanto né loro né i committenti hanno alcuna responsabilità sulle riflessioni che seguono, evidentemente a posteriori. In breve, da un lato ci sono gli Effetti del Buon governo in città e in campagna, affrescato nel Palazzo Pubblico di Siena – insieme agli Effetti del cattivo governo –dal pittore senese Ambrogio Lorenzetti (1290-1348); dall’altro, la tavola di autore ignoto raffigurante la Città ideale, databile alla fine del XV secolo e conservata attualmente a Urbino – esistono tuttavia vedute analoghe conservate a Baltimora e Berlino.
Certo, sono entrambe rappresentazioni ideali: la prima nell’intento didascalico, configurandosi come un trattato visivo di scienza politica; la seconda nella perfezione geometrica, configurandosi come un trattato visivo di urbanistica. Tuttavia il contrasto è evidente sin dal primo sguardo. Benché idealizzata, la Siena di Lorenzetti è viva e popolata; benché in parte realizzata (si pensi alla città di Pienza), la Città ideale vagheggiata nel Rinascimento è invece totalmente deserta.
Le virtù che ispirano il Buon governo (come avviene per i vizi alla radice del Cattivo governo, nell’affresco “gemello”), dapprima personificate, si traducono poi in un ambiente urbano in pieno fermento: cavalieri e dame, bambini, ragazze intente in una danza, bottegai e artigiani, persino operai al lavoro su un’alta torre. La stessa vivacità si registra nel contado, dai campi ben coltivati al gruppo in primo piano che si appresta alla caccia con il falcone. Infine, poco distante da questi ultimi, la “comparsa” più simpatica di tutta la storia dell’arte: il contadino che si dirige in città col maiale di cinta, la razza tipica senese, la cui sola vista evoca suggestioni che dalla storia dell’arte passano direttamente alla gastronomia.
E nella Città ideale? Edifici perfetti e perfettamente costruiti, ma totalmente asettici (a onor del vero, un’asetticità più affascinante e totalmente aliena da quella in voga ai nostri giorni). In perfetta coerenza non troveremo il maialino, né i cavalli, ma – letteralmente – neanche un cane. Soltanto nella tavola di Baltimora si riscontrano poche minuscole figurine, ma ricordano più le sagome di un plastico che una reale presenza umana.
Un contrasto suggestivo che ricorda le nostre città prima e dopo il confinamento. Certamente nella prima – la Siena di Lorenzetti – quel brulichio di vita fu tragicamente interrotto dalla peste del 1348, tra le cui vittime illustri annoveriamo lo stesso pittore. Nella Città ideale invece è ben più difficile ammalarsi: poche, pochissime persone (o nessuna) e ben distanziate tra loro. Tutti gli altri forse chiusi in quelle dimore algide e perfette. Ma è una città che non esiste, astratta e ideale come il “rischio zero”.
Sabato, 30 maggio 2020