Marco Invernizzi, Cristianità n. 393 (2018)
Editoriale
Salus animarum suprema lex: la salvezza delle anime è la legge suprema della Chiesa, da sempre e per sempre anzitutto impegnata a cercare ogni uomo per comunicargli che Cristo è il Salvatore e la Chiesa la via ordinaria per conoscerlo e amarlo sulla terra e nell’eternità.
Questa caratteristica ha delle conseguenze, inevitabili ma spesso anche origine di molti fraintendimenti. In ogni epoca della storia la Chiesa deve cercare di incontrare tutti gli uomini, anche e soprattutto quelli che le sono lontani per scelta deliberata. E, quando condanna, lo fa per aiutare tutti a lasciarsi salvare da Cristo, anche quelli che vengono compresi nella condanna. Ricordo come esempio, ma se ne potrebbero fare tanti altri, quando la Chiesa italiana nel 1949 comminò la scomunica a coloro che, battezzati, appartenevano e sostenevano il Partito Comunista, salvo lanciare l’anno successivo, in occasione dell’Anno Santo, la Crociata del Gran Ritorno, rivolta anche e soprattutto a quelli che erano stati scomunicati pochi mesi prima. Cominciò un lungo periodo caratterizzato dalla condanna e dalla lotta contro il comunismo e contemporaneamente dal tentativo di proporre il Vangelo ai comunisti: «et et», come sempre la Chiesa ha fatto e come non può non fare.
Chi ama sopra ogni cosa Dio non può che desiderare di comunicarne la Grazia a tutti, soprattutto ai più lontani, e non si può ritenere tranquillo finché non ha esaurito ogni mezzo per raggiungere questo scopo.
Anche oggi la Chiesa è impegnata in questa opera di evangelizzazione, difficile ed entusiasmante, in un mondo ostile ma soprattutto lontano, spesso ignaro della stessa proposta cristiana.
E anche oggi assistiamo a equivoci, così come avvenne nell’epoca delle ideologie: chi non ricorda i cattolici liberali, i clericofascisti o i cattocomunisti? Fra costoro vi erano confusionari, uomini generosi impegnati nel tentativo di riportare alla fede chi era stato sedotto dalle diverse ideologie, ma anche chi era caduto in un errore dottrinale gravido di conseguenze negative, consapevole o meno che ne fosse.
Oggi accade qualcosa di simile con l’ideologia gender, che dal 1968 viene diffusa nel corpo sociale fino a mettere in discussione la stessa identità sessuale della persona in nome di un relativismo etico assoluto. E anche oggi la Chiesa si preoccupa di accogliere le tante persone colpite da questi cinquant’anni di rivoluzione sessuale e antropologica — che hanno devastato due generazioni e lasciato tante ferite —, e contemporaneamente di continuare a denunciare «quello sbaglio della mente umana», frutto di «colonizzazioni ideologiche» (1), come Papa Francesco ha definito l’ideologia gender parlando ai giovani, a Napoli, il 21 marzo 2015. Tuttavia, questa duplice opera è necessaria anche all’interno del mondo cattolico, dove la stessa ideologia è riuscita a penetrare, provocando incertezze identitarie che nel corso degli ultimi cinquant’anni hanno colpito i seminari e lo stesso comportamento di una piccola ma significativa parte del clero, da cui sono derivati gli abusi sessuali sui minori e una inquietante diffusione della omosessualità e della giustificazione ideologica dell’omosessualismo.
Questa «sporcizia» (2), come la definì il card. Joseph Ratzinger nella Via Crucis del Venerdì Santo del 2005, esiste e non dobbiamo voltarci dall’altra parte per fare finta che non ci sia.
Certo, questa sporcizia viene usata da chi vuole colpire la Chiesa e non dobbiamo cadere nella trappola preparata da coloro che immaginano la vita della Chiesa ridotta a una spelonca di predatori sessuali. Tuttavia, se vogliamo superare anche questa sfida ideologica — le precedenti ideologie sono morte, mentre la Chiesa rimane viva — dobbiamo purificare l’interno del corpo di Cristo da ogni scoria ideologica anche denunciando ogni comportamento trasgressivo.
Questo è un compito importante per chi ha autorità nel corpo di Cristo per fermare il diffondersi di questa piaga. Molto è già stato fatto in questa direzione a partire dalla Lettera ai Sacerdoti per il Giovedì Santo 2002 di san Giovanni Paolo II (1978-2005): «[…] noi siamo personalmente scossi nel profondo dai peccati di alcuni nostri fratelli che hanno tradito la grazia ricevuta con l’Ordinazione, cedendo anche alle peggiori manifestazioni del mysterium iniquitatis che opera nel mondo. Sorgono così scandali gravi, con la conseguenza di gettare una pesante ombra di sospetto su tutti gli altri benemeriti sacerdoti, che svolgono il loro ministero con onestà e coerenza, e talora con eroica carità. Mentre la Chiesa esprime la propria sollecitudine per le vittime e si sforza di rispondere secondo verità e giustizia ad ogni penosa situazione, noi tutti — coscienti dell’umana debolezza, ma fidando nella potenza sanatrice della grazia divina — siamo chiamati ad abbracciare il “mysterium Crucis” e ad impegnarci ulteriormente nella ricerca della santità» (3).
Seguì poi l’adozione della «tolleranza zero» nei confronti dei casi di abusi da parte di sacerdoti durante il pontificato di Benedetto XVI (2005-2013), che consisteva soprattutto nella decisione di denunciare alla giustizia gli abusatori di cui si aveva certezza, e quindi vennero i provvedimenti di Papa Francesco sul tema, in particolare durante l’incontro a porte chiuse con i vescovi italiani del 21 maggio 2015 di cui ha dato notizia tutta la stampa nei giorni successivi, quando il Pontefice chiese di non lasciare entrare in seminario candidati al sacerdozio che manifestassero tendenze omosessuali, anticipando la decisione della Congregazione per il Clero dell’8 dicembre 2016 (4).
Oggi sta accadendo qualcosa di simile a quanto avvenne all’inizio del pontificato di san Giovanni Paolo II. Il Magistero non aveva mai cessato di condannare il comunismo ma aveva cercato una strada per dare maggiore protezione e libertà ai fedeli che vivevano sotto i regimi del socialismo reale. Si era così creata una situazione di imbarazzo e di silenzio, spesso complice, nei confronti del male. Il Pontefice non cambiò platealmente la prospettiva di quello che si chiamava «dialogo», ma non indugiò nel linguaggio diplomatico e si rivolse anche ai popoli, richiamandoli alle proprie radici, condannando chi le aveva calpestate senza denunciarlo platealmente. E ciò venne percepito come una liberazione, in particolare durante i suoi discorsi in Polonia nel corso del memorabile primo viaggio nel 1979.
Tutti lentamente capimmo e ci entusiasmammo, fino alla commozione, e successe quello che sappiamo.
Oggi coloro che sono rimasti fedeli si aspettano qualcosa di simile, ossia parole e gesti che cambino un clima di depressione e ambiguità. Queste eventuali parole non serviranno a convincere immediatamente i tanti che sono lontani dalla fede cristiana, anche nella nostra nazione. Ma forse ridarebbero alla minoranza rimasta fedele la forza e l’entusiasmo per accostare i lontani nella prospettiva della nuova evangelizzazione.
Alleanza Cattolica, nel suo piccolo e secondo le sue caratteristiche, darà il suo contributo di preghiera e di azione perché questo avvenga, presto e bene.
Note:
(1) Francesco, Discorso ai giovani al Lungomare Caracciolo a Napoli, del 21-3-2015.
(2) Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice, Via Crucis al Colosseo. Venerdì Santo 2005, Meditazioni e preghiere del cardinale Joseph Ratzinger, Nona stazione.
(3) Giovanni Paolo II, Lettera ai Sacerdoti per il Giovedì Santo 2002, del 17-3-2002, n. 11.
(4) Cfr. Congregazione per il Clero, Il dono della vocazione presbiterale. Ratio fundamentalis Insititutionis sacerdotalis, n. 199.