Marco Invernizzi, Cristianità n. 410 (2021)
La divisione fra gli uomini e le donne, soprattutto se impegnati in attività pubbliche, esiste da quando esiste l’umanità. Non è una cosa in sé negativa, anche all’interno della Chiesa, se esprime legittime diversità e se viene letta, come dice spesso il Papa, come un poliedro e non come una sfera, cioè in modo armonioso e collaborativo e non dialettico e antagonistico (1).
Tuttavia, nell’epoca post-ideologica la divisione è diventata qualcosa di maniacale, perché, grazie soprattutto ai social media, è penetrata nei singoli individui, ognuno dei quali davanti al computer o allo smartphone si sente in dovere di dare la propria lettura di qualsiasi cosa accada. Purtroppo, però, penso che le divisioni all’interno del mondo cattolico abbiano ragioni più profonde, perché nascono da un giudizio diverso sull’epoca contemporanea. Si è soliti dividere i cattolici fra «sociali» e «antropologici»: i primi sarebbero attenti alle questioni ambientali e relative al mondo del lavoro, mentre i secondi alle questioni etiche, legate principalmente alla sacralità della vita e alla centralità della famiglia. Oggi la divisione è penetrata anche all’interno dei soggetti di questa contrapposizione, per esempio a proposito del giudizio da dare sull’utilizzo dei vaccini anti-virali, come se l’opzione pro oppure no vax fosse diventata il criterio principale per distinguere i cattolici buoni da quelli cattivi o corrivi con «Cesare».
Credo che la responsabilità di queste divisioni stia nell’ignoranza e quindi nella inosservanza del magistero pontificio, che da decenni affronta sempre congiuntamente i due temi. Per convincersi del contrario basta leggere i documenti dei Pontefici che si sono succeduti, senza peraltro negare legittime diverse sensibilità e differenti priorità pastorali, in essi rilevabili e delle quali prendere atto.
Tuttavia, il problema è ancora più complesso, perché le divisioni esistono e si moltiplicano anche all’interno dei cattolici «sociali» e di quelli «antropologici». Che cosa fare dunque? Come superare queste divisioni che fanno male?
Intanto, credo che si debba partire dal presupposto che un’autorità esiste, anche se spesso è silente, anche se non di rado non sostiene tutto quello che ciascuno vorrebbe sentire sostenere e se spesso non interviene con lo stile che ognuno desidererebbe. Nonostante ciò, tale autorità va non soltanto rispettata, ma anche seguita nelle sue indicazioni (2).
In secondo luogo, questa autorità ha indicato il quadro di fondo entro il quale comunicare la fede cristiana oggi e affrontare i principali problemi di tale trasmissione. Lo ha fatto a partire dal discorso inaugurale del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) l’11 ottobre 1962, quando san Giovanni XXIII (1958-1963) ha esaltato la bellezza della dottrina cristiana e auspicato che venisse portata all’uomo contemporaneo in un modo che tenesse conto dei mutamenti culturali avvenuti già allora e moltiplicatisi successivamente. Da allora, anzi da prima di allora, almeno dal pontificato del venerabile Pio XII (1939-1958) (3), la Chiesa aveva sentito l’esigenza di imboccare la strada missionaria e di dar vita a una «nuova evangelizzazione», pur cominciando a usare questo termine soltanto con san Giovanni Paolo II (1978-2005), a partire dal suo primo pellegrinaggio in Polonia nel 1979. Dopo avere resistito eroicamente per quasi due secoli al processo di scristianizzazione — dal 1789 alla nascita delle ideologie di massa dopo la Prima Guerra Mondiale (1914-1918), alla «guerra civile europea» iniziata nel 1914 e che si concluderà con la rimozione del Muro di Berlino nel 1989 —, dopo questo lungo periodo che vide una grande fioritura missionaria ad gentes (4) e la lotta per difendere la libertà della Chiesa negli antichi Stati cristiani, il Magistero intuì che era finita un’epoca e che era necessario rivolgersi non più solo agli Stati o alle istituzioni bensì ai singoli uomini, se si voleva rievangelizzarli: essi andavano avvicinati a uno a uno, famiglia per famiglia e, quando possibile, creando ambienti umani dove fosse possibile vivere la fede senza particolari eroismi. La lotta contro il processo rivoluzionario si sarebbe dovuta integrare con una «nuova evangelizzazione» ad intra degli antichi paesi della Cristianità.
Molti, nel post-Concilio, non hanno colto la portata della missionarietà riproposta dal Magistero e l’hanno letta come una rottura con il passato della Chiesa, alcuni demonizzando il passato altri esaltandolo con un atteggiamento sterilmente archeologistico (5). Il clima all’interno del mondo cattolico venne allora avvelenato da rancori e divisioni, da scismi ed eresie, così che la maggioranza dei cattolici finì per rinunciare a testimoniare all’uomo contemporaneo tutta la verità cattolica, oscurata com’era dalle sue polemiche interne.
La proposta contenuta nel discorso giovanneo dell’11 ottobre 1962 prevedeva invece di custodire la dottrina, ma di proporla tenendo conto dell’interlocutore, secondo il messaggio della parabola evangelica del Samaritano usata da san Paolo VI (1963-1978) per indicare la spiritualità del Concilio: piegarsi sul mondo sofferente, che significava abbracciare e accompagnare gli uomini feriti del nostro tempo — feriti soprattutto da secoli di apostasia individuale e sociale —, che poi siamo noi stessi, i nostri figli e i nostri nipoti. Curare le ferite, però, significava curarle con la medicina che restituisce la salute, cioè con la Verità (6).
Per esempio, da quando è emerso il problema — almeno da quando san Giovanni Paolo II intervenne sul punto in occasione della IV Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sulla Donna, tenutasi a Pechino, in Cina, nel 1995 (7) —, nel mondo cattolico, nei consigli pastorali, nelle parrocchie e nei principali movimenti ecclesiali non si è quasi mai sentito parlare di «ideologia del gender».
Vale la pena soffermarsi sulla Conferenza di Pechino e sull’intervento del Papa su di essa — una letteraal segretario della conferenza — perché dimostra come la Santa Sede non abbia sottovalutato «il terribile sfruttamento di donne e ragazze esistente in ogni parte del globo. L’opinione pubblica solo ora comincia a prendere coscienza delle condizioni disumane in cui donne e bambine sono spesso costrette a lavorare, specialmente nelle zone meno sviluppate della terra, in cambio di un piccolo o di nessun compenso, senza alcuna tutela dei loro diritti o della loro sicurezza sul lavoro. E cosa dire dello sfruttamento sessuale di donne e bambini? La volgarizzazione della sessualità, specialmente nei media, e l’accettazione da parte di alcune società di una sessualità priva di vincoli morali e irresponsabile, danneggiano in particolare le donne, accrescendo le minacce che sono costrette ad affrontare per difendere la propria dignità personale e il loro servizio alla vita». Tuttavia, il Papa nella sua lettera denuncia quello che poi, a cominciare da Pechino, diventerà un vero e proprio tentativo di imporre all’umanità questo «sbaglio della mente umana», come dirà in seguito Papa Francesco (8): «Come molte donne rivendicano, parità di dignità non significa “essere la stessa cosa dell’uomo”. Questo porterebbe solo a un impoverimento della donna e di tutta la società, con la deformazione o la perdita di quella ricchezza unica e di quel valore propri della femminilità». E nello stesso senso «è necessario combattere l’errata opinione che il ruolo di madre sia per le donne oppressivo e che dedicarsi alla famiglia, e soprattutto ai suoi figli, impedisca alla donna di raggiungere una realizzazione personale e alle donne in generale di avere una loro importanza nella società. Far sentire una donna colpevole perché desidera rimanere in casa e allevare e curare i propri figli significa rendere un cattivo servizio non solo ai bambini, ma anche alle donne e alla stessa società. La presenza della madre nella famiglia, così importante per la stabilità e la crescita dell’unità fondamentale della società, dovrebbe invece essere riconosciuta, plaudita e sostenuta in ogni modo possibile». Così san Giovanni Paolo II conclude questa importante Lettera — che bisogna leggere nella sua interezza per comprendere come la Santa Sede si sia mossa per tempo affrontando con equilibrio i tanti e diversi problemi che riguardano il tema della femminilità — con un auspicio: «Dobbiamo sperare che la Conferenza tracci una rotta che eviti gli scogli di un individualismo esasperato, con il relativismo morale che è sua diretta conseguenza, o, dall’altro canto, gli scogli di un condizionamento sociale e culturale che non permetta alle donne di prendere coscienza della propria dignità, con drammatiche conseguenze per un corretto equilibrio sociale e l’immutato dolore e disperazione di così tante donne».
Parlarne, mostrare come sia un grave pericolo «quello sbaglio della mente umana che è la teoria del gender, che crea tanta confusione. Così la famiglia è sotto attacco», nonché ricordare, sempre con il regnante Pontefice, che è in corso una «guerra mondiale contro il matrimonio» (9). Ma questo significa forse venire meno al dovere di attenzione e di affetto verso le persone che subiscono questi problemi antropologici sulla loro pelle o su quella dei loro familiari? L’arcivescovo emerito di Milano, card. Angelo Scola, ricordava durante un consiglio pastorale diocesano che spesso i preti evitano di trattare certi temi eticamente sensibili perché temono le divisioni tra i fedeli, ma sbagliano: così le divisioni aumenteranno.
Faccio un altro esempio, che nasce dalla lettura di un articolo (10) del periodico il Regno — edito dai padri dehoniani di Bologna —, in cui vengono segnalate le reazioni negative di vescovi tedeschi al Responsum con cui la Congregazione per la Dottrina della Fede ha ricordato che non si può benedire una coppia omosessuale, ma soltanto le singole persone che la compongono (11). Che cosa avrebbe dovuto fare l’ex Sant’Uffizio? Tacere o, peggio, affermare la liceità di benedire una coppia omosessuale come se fosse una coppia qualsiasi? Forse qualcuno può pensare che questo atteggiamento definito da alcuni come falso e ipocrita possa aiutare qualche omosessuale a portare il peso della sua condizione?
In sostanza, alcuni temono che tornare a parlare di temi etici di questo tipo significhi ingaggiare una di quelle «battaglie culturali» che opporrebbero la Chiesa al «pensiero unico» dominante oppure ritengono che così facendo si tornerebbe a quel clima di profonda avversione mediatica — e non solo — contro la Chiesa che ha accompagnato l’ultima parte del pontificato di Benedetto XVI, approfittando dello scandalo della pedofilia?
Il rischio indubbiamente esiste. Quando la Chiesa esprime in qualche modo la sua irriducibilità al mondo, quest’ultimo reagisce e la perseguita.
In sostanza il Magistero (e il buon senso) chiede di usare tutta la misericordia di cui siamo capaci, cioè la pazienza, l’umiltà di ascoltare e accogliere la singola persona e contemporaneamente di dirle la verità sull’uomo, anche se, naturalmente in modo graduale, senza usarla come fosse una clava. Ma sarebbe utopistico immaginare anche così facendo di porre fine alle persecuzioni, che peraltro non vanno né auspicate né tantomeno cercate. Il male continua a esistere e dobbiamo tenerne conto, senza drammi ed eccessive paure, con la certezza di essere amati e protetti, ma anche di poter essere perseguitati fino all’ultimo giorno.
Note:
«Il modello non è la sfera, che non è superiore alle parti, dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro. Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità. Sia l’azione pastorale sia l’azione politica cercano di raccogliere in tale poliedro il meglio di ciascuno. Lì sono inseriti i poveri, con la loro cultura, i loro progetti e le loro proprie potenzialità. Persino le persone che possono essere criticate per i loro errori, hanno qualcosa da apportare che non deve andare perduto. È l’unione dei popoli, che, nell’ordine universale, conservano la loro peculiarità; è la totalità delle persone in una società che cerca un bene comune che veramente incorpora tutti» (Francesco, Esortazione apostolica «Evangelii Gaudium» sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, del 24-11-2013, n. 236).
2) «I fedeli, memori della parola di Cristo ai suoi Apostoli: “Chi ascolta voi, ascolta me” (Lc10,16), accolgono con docilità gli insegnamenti e le direttive che vengono loro dati, sotto varie forme, dai Pastori» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 87). Cfr. Pietro Cantoni, Oralità e magistero. Il problema teologico del magistero ordinario, D’Ettoris, Crotone 2016.
3) È significativo come l’Enchiridion della nuova evangelizzazione, che raccoglie i testi pontifici sul tema, cominci appunto con Pio XII: cfr. Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, Enchiridion della nuova evangelizzazione. Testi del Magistero pontificio e conciliare, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2012.
4) Cfr. Enrico Chiesura, «… fino agli estremi confini della terra!». Il carisma missionario nel XIX secolo, Mimep-Docete, Pessano con Bornago (Milano) 2002.
5) Cfr. sul punto l’interpretazione corretta del Concilio offerta da Benedetto XVI (2005-2013) nel Discorso ai Cardinali, agli Arcivescovi, ai Vescovi e ai Prelati della Curia Romana per la presentazione degli auguri natalizi, del 22-12-2005. Cfr. anche, a proposito dell’importanza dei documenti del Concilio, quanto detto dal Papa emerito durante l’udienza generale del 10 ottobre 2012 e quanto affermato nel corso dell’Incontro con i parroci e il clero di Roma del 14 febbraio 2013, nel quale egli mette in luce la contrapposizione fra il Concilio virtuale dei media e quello dei Padri, quello vero: «Sappiamo come questo Concilio dei media fosse accessibile a tutti. Quindi, questo era quello dominante, più efficiente, ed ha creato tante calamità, tanti problemi, realmente tante miserie: seminari chiusi, conventi chiusi, liturgia banalizzata … e il vero Concilio ha avuto difficoltà a concretizzarsi, a realizzarsi; il Concilio virtuale era più forte del Concilio reale. Ma la forza reale del Concilio era presente e, man mano, si realizza sempre più e diventa la vera forza che poi è anche vera riforma, vero rinnovamento della Chiesa. Mi sembra che, 50 anni dopo il Concilio, vediamo come questo Concilio virtuale si rompa, si perda, e appare il vero Concilio con tutta la sua forza spirituale. Ed è nostro compito, proprio in questo Anno della fede, cominciando da questo Anno della fede, lavorare perché il vero Concilio, con la sua forza dello Spirito Santo, si realizzi e sia realmente rinnovata la Chiesa. Speriamo che il Signore ci aiuti. Io, ritirato con la mia preghiera, sarò sempre con voi, e insieme andiamo avanti con il Signore, nella certezza: Vince il Signore! Grazie!».
6) Cfr. «L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni umani (e tanto maggiori sono, quanto più grande si fa il figlio della terra) ha assorbito l’attenzione del nostro Sinodo. Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo» (Paolo VI, Omelia nella IX Sessione del Concilio, del 7-12-1965).
7) Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio alla signora Gertrude Mongella, segretario generale della IV Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulla donna, del 26-5-1995.
8) Francesco, Discorso durante l’incontro con i giovani sul Lungomare Caracciolo di Napoli nel corso della sua visita pastorale alla città, del 21-3- 2015.
9) Cfr. Idem, Conferenza stampa durante il volo di ritorno dall’Azerbaijan, del 2-10-2016.
10) Cfr. Daniela Sala, Unioni omosessuali – Vescovi. I «no» che non fanno crescere, in il Regno-attualità, anno LXVI, n. 8, Bologna 15-4-2021, p. 215.
11) Cfr. Congregazione per la dottrina della fede, «Responsum» ad un «dubium» circa la benedizione delle unioni di persone dello stesso sesso, del 22-2-2021.