Di Matteo Matuzzi da Il Foglio del 02/06/2024
Il fatto è che noi, “ma proprio noi, noi cattolici italofoni, siamo diventati tremendamente noiosi. Abulici. Invitanti pari merito col picnic sulla Salerno-Reggio Calabria”. “Ci siamo permessi (proprio noi!) di afflosciarci, facendo pigliare la gastrite ai santi fratelli maggiori da Pietro e Paolo in giù, che in Italia sono venuti apposta a morire per trasmetterci la fede in Cristo, e ora guardando dall’alto vorrebbero di certo prenderci a pizze sul capocollo, sempre con grande misericordia. Cioè quelli prima di diventare martiri andavano per le strade a gridare la bellezza di Cristo rimanendo coerenti nel midollo col messaggio evangelico, poveri umili coi piedi impolverati e pronti a morire. Noi andiamo in giro a pancia piena motorizzati eppure sembriamo degli infelici con la rogna”. Diagnosi perfetta direbbe il luminare che assiste al giovane praticante medico intento a descrivere la malattia che si vede dalla Tac. A scriverlo è una madre di famiglia quarantenne, Lisa Zuccarini, che non è medico ma ha studiato medicina, che non è scrittrice ma è già al suo secondo libro ( Almeno credo, Cantagalli, 224 pp., 16 euro). Le piace parlare di Dio, ma senza prendersi troppo sul serio. Detta così, non si capisce perché uno dovrebbe leggere le sue considerazioni sullo stato del cattolicesimo in Italia. Il punto, però, è che le sue considerazioni vanno ben oltre ciò, con ironia e sagacia. Molto meglio di quanto riescano a fare teologi che ne hanno viste tante, che sospirano davanti alle chiese vuote e ricordano i bei tempi che furono, quando il laicato era dinamicissimo, le speranze tante e la Chiesa vitale. Zuccarini scrive che noi siamo diventati noiosi, abbiamo tutto a disposizione – non si sa ancora per quanto, ma almeno “riusciamo ancora a raggiungere la messa senza gambizzazioni” – eppure “abbiamo ripiegato sul piglio censorio del questo non si fa e quest’altro nemmeno”. E ci siamo dimenticati “di vivere la fede nell’entusiasmo”, scordandoci pure “la bellezza esplosiva di ciò che annunciamo”. Il cattolicesimo ridotto a moralismo, a consegna di precetti che niente hanno a che vedere con il messaggio di Cristo, che era un tipo che pure s’arrabbiava quando necessario – la frusta di cordicelle l’ha usata lui nel tempio, rovesciando tavoli e banchetti, altro che il Gesù intimista e spirituale che tanta narrazione ha descritto.
I cattolici tiepidi del tempo odierno hanno bisogno di esempi, di storie incarnate nell’esperienza quotidiana, di volti che raccontano ancora oggi la freschezza della fede. “Come ho fatto a non parlare del beato Carlo Acutis, capace di fare scelte scandalose, anacronistiche agli occhi del mondo che ci vuole volatori bassi con lo sguardo a terra? Proprio lui diceva “la conversione non è altro che spostare lo sguardo dal basso verso l’Alto, basta un semplice movimento degli occhi”, e cavoli se aveva ragione. Carlo che l’altro giorno nominandolo la mia amica cattolicissima m’ha ribattuto che di lui non sa quasi nulla. Perché è vero, di questo beato formidabile non si parla in lungo e in largo e invece bisognerebbe far piovere volantini con la sua storia sui litorali affollati di gente che piglia il sole sbagliato. Per lui il sole imprescindibile era un altro: ‘L’eucaristia è la mia autostrada per il cielo, di fronte al sole ci si abbronza ma di fronte a Gesù Eucaristia si diventa santi’. Bisognerebbe farlo conoscere ai giovani affamati di felicità e di senso. Perché Carlo era un ragazzo, ma soprattutto era spudoratamente felice!”. E come Carlo, ormai prossimo santo, ci sono anche tante altre storie, come quella di Chiara Corbella, che ci “ricorda un amore antico, impavido”; come quella di don Pino Puglisi, i cui ultimi istanti di vita confermano che davvero “contano poche parole per piantare semi di bene nell’anima dei peggio debosciati, se sostenute da un fatto tangibile”. E tante altre vicende umane, che in sé non avrebbero niente di straordinario e che forse proprio in virtù di ciò hanno seminato così bene che le piante hanno messo radici ancora oggi solidissime.