La superbia è il peccato più difficile da rimediare, perché è la sostanza stessa del peccato originale
di Michele Brambilla
Nell’udienza generale del 6 marzo Papa Francesco parla della superbia. «Gli antichi greci la definivano con un vocabolo che si potrebbe tradurre “eccessivo splendore”. In effetti, la superbia è autoesaltazione, presunzione, vanità. Il termine compare anche in quella serie di vizi che Gesù elenca per spiegare che il male proviene sempre dal cuore dell’uomo» in Mc 7,22.
«Da questa prima descrizione, vediamo come il vizio della superbia sia molto prossimo a quello della vanagloria, che abbiamo già presentato la volta scorsa», ma qui, dicevano i monaci medievali, siamo al vertice del peccato. «Di tutti i vizi, la superbia è gran regina. Non a caso, nella Divina Commedia, Dante la colloca proprio nella prima cornice del Purgatorio: chi cede a questo vizio è lontano da Dio, e l’emendazione di questo male richiede tempo e fatica, più di ogni altra battaglia a cui è chiamato il cristiano», spiega il Pontefice.
«In realtà, dentro questo male si nasconde il peccato radicale, l’assurda pretesa di essere come Dio»: infatti «il peccato dei nostri progenitori, raccontato dal libro della Genesi, è a tutti gli effetti un peccato di superbia. Dice loro il tentatore: “Quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio” (Gen 3,5)».
Il Papa tratteggia, quindi, una descrizione caricaturale del superbo, ma la cosa più importante è che «nella sua supponenza, si dimentica che Gesù nei Vangeli ci ha assegnato pochissimi precetti morali, ma su uno di essi si è dimostrato intransigente: non giudicare mai». Il Santo Padre fa l’esempio dello stesso san Pietro, che nell’Orto degli Ulivi «sbandiera la sua fedeltà a tutta prova: “Se anche tutti ti abbandonassero, io no!” (cfr Mt 26,33). Presto farà invece l’esperienza di essere come gli altri, anche lui pauroso davanti alla morte che non immaginava potesse essere così vicina. E così il secondo Pietro, quello che non solleva più il mento ma che piange lacrime salate, verrà medicato da Gesù e sarà finalmente adatto a reggere il peso della Chiesa».
La chiave di volta è quindi l’umiltà. «Nel Magnificat, Maria canta il Dio che con la sua potenza disperde i superbi nei pensieri malati del loro cuore. È inutile rubare qualcosa a Dio, come sperano di fare i superbi, perché in fin dei conti Lui ci vuole donare tutto. Per questo l’apostolo Giacomo, alla sua comunità ferita da lotte intestine originate dall’orgoglio, scrive così: “Dio resiste ai superbi, agli umili invece dà la sua grazia” (Gc 4,6)», ricorda Francesco.
Nei saluti, «ancora una volta, fratelli e sorelle, rinnovo il mio invito a pregare per le popolazioni che soffrono l’orrore della guerra in Ucraina e in Terra Santa, come pure in altre parti del mondo. Preghiamo per la pace! Chiediamo al Signore il dono della pace».
Giovedì, 7 marzo 2024