di Laura Boccenti
Etimologicamente, il termine “pellegrino” viene dal latino peregrinus, che significa “forestiero”, “straniero”. Il pellegrino è qualcuno che si trova fuori dal proprio Paese ed è in cammino per raggiungere una meta. In senso ampio ogni uomo è pellegrino, in quanto, fino alla morte, si trova nella condizione esistenziale di viator: la sua condizione non è ancora fissata irrevocabilmente, è sempre libero di volgersi verso il suo fine o di allontanarsene. Infatti, non tutte le strade seguite dall’homo viator vanno nella giusta direzione: alcune conducono alla realizzazione del suo essere, altre all’annientamento.
Il cristianesimo ha interpretato il pellegrinaggio come un viaggio sia fisico sia spirituale, verso un “luogo” sacro, dove l’umano s’incontra con il divino, rappresentato simbolicamente (e realmente) dalla Croce di Cristo, con la linea verticale, che rappresenta la trascendenza di Dio, che s’interseca con quella orizzontale, che rappresenta il mondo creato.
Sin dai primi secoli del cristianesimo, il pellegrinaggio è stato un’importante espressione della devozione del popolo cristiano. Tra i frutti attesi dal pellegrinaggio, visto appunto come allegoria del cammino dell’uomo verso Dio, spicca la fiducia di raggiungere la vita eterna, così come essa emerge per esempio nella rappresentazione del Giudizio Universale della cattedrale di Autun, in Francia, in cui tutti i morti escono dalla tomba nudi, tranne due pellegrini, che risorgono per presentarsi al cospetto di Dio con un sacco a tracolla, contrassegnato dalla croce di Gerusalemme e dalla conchiglia di Santiago, emblemi, appunto, dei pellegrini in Terra Santa e a Santiago di Compostella.
Come osserva il sacerdote francese Henri Engelmann (1906-1998), l’idea evidente dello scultore «[…] è che sotto la protezione di simili emblemi si può tranquillamente affrontare il giudizio di Dio».
Dunque, chi si fa pellegrino sulla via di Dio, non solo col gesto fisico, ma anche nella profondità della sua anima, è “sotto protezione”, e può «affrontare tranquillamente il giudizio di Dio»
Se è vero che nessun uomo può presumere di salvarsi grazie alle proprie opere, anche quando si tratta di opere buone e devote, evidentemente, considerato come opera dell’uomo, anche il pellegrinaggio non si sottrae a questa regola. Ma se lo si considera non solo come una devozione che consiste nella fatica e nello sforzo ascetico, ma come disponibilità a lasciare la propria “casa”, cioè la sicurezza delle abitudini e degli appoggi materiali, per cercare la propria sicurezza in modo nuovo, affidandosi alla volontà e alla provvidenza di Dio, allora si rivela il significato dell’insegnamento impartito dal bassorilievo della cattedrale di Autun: il senso profondo del pellegrinaggio sta nell’orientamento del cuore che, trasformandosi in pratica di vita, rappresenta l’apertura a vivere da figlio il rapporto con il Padre. E, in virtù di questa disposizione di umiltà e speranza, Dio salva.