Un excursus attraverso gli aforismi di Nicolás Gómez Dávila, il reazionario che reagisce innanzitutto contro il “disincanto” del mondo moderno.
di Stefano Chiappalone
«È sufficiente l’impatto di un verso per far esplodere i detriti che seppelliscono l’anima», scrive l’aforista colombiano Nicolás Gómez Dávila (1913-1994), Il vero reazionario (Cristianità, nn. 287-288, 1999). E «in ogni reazionario», afferma, «rivive Platone», nel senso che ogni reazionario è un contemplativo, uno che non perde di vista l’unione tra le cose visibili e quelle invisibili. Invece, queste ultime stanno diventando pressoché ignote dal momento che «il mondo moderno è una sollevazione contro Platone», riducendo il mondo alla sola dimensione razionalista e tecnico-scientifica. «Tale processo», scriveva Giovanni Cantoni (1938-2020), «si accompagna al venir meno degli aspetti magico-religiosi e metafisico-sacrali della vita, e coincide con la riduzione dell’esistente a “oggetto” scientificamente comprensibile e tecnicamente manipolabile» (Dopo il Martedì Nero, un passo verso il “reincanto” del mondo, in Cristianità, n. 309, 2002). E potremmo aggiungere, la riduzione del cosmo a mere leggi fisiche e biologiche, dell’avventura umana a un eterno e grigio presente, ignaro, anzi ignorante delle grandezze del passato e rischiarato al massimo dal freddo “sol dell’avvenire”.
In tal senso, quella di Gómez Dávila è anche una reazione estetica a tale «disincanto», che in definitiva minaccia di oscurare qualsiasi elemento di contemplazione e con esso tendenzialmente, la stessa capacità di godimento: prevale l’usufruire a scapito del fruire, termine latino che significa appunto «godere».
Anche quando riesce a sopravvivere a se stesso e alle proprie rivoluzioni «l’uomo – e qui torniamo agli aforismi di Gómez Dávila – sconta l’ebbrezza della liberazione con il tedio della libertà», di cui alla fine non sa che farsene, poiché non gli interessavano «né il percorso né la meta, ma solo la velocità del viaggio». Il tedio del mondo moderno è tale che «dopo aver screditato la virtù è riuscito a screditare anche il vizio».
È possibile, tuttavia, trovare una via d’uscita da questo vicolo cieco: «è sufficiente che la bellezza sfiori appena il nostro tedio perché il cuore ci si laceri come seta tra le mani della vita». Il reazionario non si limita a prendere atto del reale, egli lo soppesa e ne saggia il valore: «non è vero che le cose hanno valore perché la vita è importante. Al contrario, la vita è importante perché le cose hanno valore». Beninteso, quello di Gómez Dávila non è un ingenuo ottimismo, bensì la consapevolezza che «con pessimismo e buon umore non è possibile ingannarsi né annoiarsi». Altro che tedio.
Anche la sua religiosità non è affatto «un succedaneo di piaceri assenti, di appetiti repressi o di bramosie inappagate. Dio è la presenza invisibile che corona la pienezza terrena più compiuta, è l’estasi più alta della più ebbra felicità, è bellezza in cui fiorisce la bellezza. Dio non è inane compensazione della realtà perduta, ma l’orizzonte che cinge le cime della realtà conquistata». E mal che vada, «la fede popola la mia solitudine con il suo sordo mormorio di vita invisibile» (come non vedere, anzi, sentire in questo aforisma il fruscio di vesti angeliche e il battito d’ali che affollano certi preziosi dipinti medievali?). Il reazionario Gómez Dávila dà in pasto il suo cuore alle cose più alte – quali «bellezza, eroismo e gloria [che] si nutrono del cuore dell’uomo come fiamme silenziose» – poiché «imbecille è chi percepisce solo l’attualità» e «nobile è solo ciò che dura».
Sabato, 14 ottobre 2023